stArt up. A Taranto la rete del contemporaneo si apre all’Europa

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Capatosta di Crest/Teatri Uniti|Salvatore Marci ha presentato Sette Opere di Misericordia e mezzo|Ippolito Chiarello (al centro) in Psycho Killer
Capatosta di Crest/Teatri Uniti
Capatosta di Crest/Teatri Uniti

Taranto non è solo l’Ilva. Non è solo ciminiere che si stagliano in un cielo spesso velato da nubi dense, rossastre, e un mare azzurro e sconfinato. Non è solo un centro storico segnato da ferite aperte e sanguinanti, ma che nasconde scorci di rara bellezza.

Taranto è anche forza, determinazione, volontà di resistere ed esistere per cercare di cambiare direzione. Ne è un esempio il TaTÀ, nel quartiere popolare e operaio Tamburi, proprio a due passi dallo stabilimento, spazio dove dopo 30 anni di attività “senza fissa dimora”, dal 2009 Crest (Collettivo di Ricerche Espressive e Sperimentazione Teatrale) ha messo radici, oggi sotto la presidenza di Clara Cottino e la direzione artistica di Gaetano Colella.

Lì si respira un’aria tutt’altro che soffocante, che dà slancio e forza vitale. E sono queste le caratteristiche del festival stArt up svoltosi a fine settembre, un progetto giunto alla terza edizione, promosso dalla rete di residenze teatrali pugliesi una.net (composta dalle sei compagnie Armamaxa Teatro, Bottega degli Apocrifi, Crest, La luna nel letto, ResExtensa, Teatro delle Forche) distribuite in quattro province pugliesi (Bari, Brindisi, Foggia, Taranto) e realizzato nell’ambito di Teatri Abitati.

Il festival ha sede a Taranto per trasformare la provincia in un polo di attrazione per artisti italiani e stranieri che dialoghino col territorio, e accogliere operatori, critici, addetti ai lavori con cui portare avanti discorsi concreti e continuativi su percorsi di ricerca drammaturgica, strategie e tendenze da seguire o oltrepassare.

Tra le compagnie in cartellone, la prima riflessione la meritano i padroni di casa di Crest.
Una stanza buia, nello stabilimento più grande d’Europa, l’Ilva, uno spazio che toglie il respiro e uccide la speranza. “Capatosta”, in prima nazionale, di Gaetano Colella in scena insieme ad Andrea Simonetti, con la regia di Enrico Messina, racconta con la semplicità e la forza di parole, volti e gesti quotidiani, quelli dei tanti operai chiamati a scegliere tra il lavoro e la vita, il dramma di una città ferita e divisa.

Sono come due ventricoli di un cuore, la città e lo stabilimento, in un movimento continuo e oscillante tra vita e morte, agìto sulla scena, con una apparentemente disarmante semplicità, da due uomini. Un sogno divenuto incubo si palesa nella banalità delle azioni quotidiane che diventano balletto quando i due operai si muovono ricordando delle marionette svuotate da ogni consapevolezza.
Colella, lavoratore esperto, difende strenuamente il poco che ha, una poltrona colorata dove riposarsi. Simonetti, neo-laureato col sogno di una nuova lotta di classe, arrivato all’Ilva per vendicare la morte del padre, operaio stroncato da un tumore, cerca di insinuare il dubbio nell’altro. Tra loro un dialogo come fossero padre e figlio, che diventerà scontro, incapace di deflagrare ma costretto ad un’attesa immobile e soffocante degli eventi.

Salvatore Marci ha presentato Sette Opere di Misericordia e mezzo
Salvatore Marci ha presentato Sette Opere di Misericordia e mezzo

Ancora una produzione pugliese, La luna nel letto e l’associazione Tra il dire e il fare, con un accadimento teatrale: “Sette opere di misericordia e mezzo”. Così lo ha presentato il regista e attore Salvatore Marci, che sulla scena lo conduce con la complicità di Maristella Tanzi e Daniele Lasorsa. Un’altra prima nazionale, dopo lo studio proposto durante la scorsa edizione del festival.

Un uomo, nel suo abito grigio attaccato alla bottiglia come ad un’àncora, racconta una storia a frammenti, e la prima opera di misericordia viene richiesta al pubblico, chiamato a partecipare aprendo e chiudendo gli occhi alle parole “buio” e “luce”. Cambi improvvisi di scena, nonostante un nero fondale accompagni tutta la narrazione, come “perso in questo neo-medio-evo-post-moderno alla ricerca della misericordia, sublime gesto gratuito senza remissione di peccato, io accado, attraverso infinite ed impossibili esistenze” scrive Marci, nelle sue note di regia. La misericordia, si apprende, è un piccolo coltello, dalla lunga lama affilata, per togliere la vita ai combattenti agonizzanti sul campo di battaglia. E le storie si confondono, sembra impossibile sfuggire al destino che tra buio e luce si consuma nella sua ineluttabilità. Una prostituta vestita di bianco, di cui si intuisce una fine crudele, e San Martino di Tours, sono complici del confuso accadere.

Ippolito Chiarello e Walter Spennato hanno invece voluto raccontare la parabola discendente di una società sempre più assuefatta alla mediocrità e alla violenza.
In prima nazionale, “Psycho Killer. Quanto mi dai se ti uccido?” di Nasca Teatri di Terra propone la parabola di un omicida folle per scelta, Ippolito Chiarello, accompagnato sulla scena da Raffaele Casarano al sax e Stefano Rielli al contrabbasso.

Ippolito Chiarello (al centro) in Psycho Killer
Ippolito Chiarello (al centro) in Psycho Killer

Lo spettacolo ci pone davanti a dinamiche ben conosciute, “televisive”, per mostrare, attraverso la lente dell’ironia, un Paese che vede il sangue in tivù scorrere da un canale all’altro, senza soluzione di continuità.
Uno “scherzo teatrale”, per prendersi gioco con sorriso ed ironia della morte e dei tanti gesti di violenza quotidiana che abitano sempre di più le pagine di cronaca e albergano con troppa facilità negli animi contemporanei. Un gioco che strizza l’occhio ai programmi televisivi, che si burla del pubblico cercandone il coinvolgimento attivo.

Spazio anche ad alcune tra le giovani compagnie più apprezzate della scena contemporanea nazionale: in prima regionale a stArtup anche Teatro Sotterraneo con “Be normal!” nuovo capitolo del  progetto sulla vocazione “Daimon Project”. Dopo aver mostrato personaggi famosi in tenera età, per dar vita ad una sorta di romanzo di formazione, decidono ora di guardarsi allo specchio della quotidianità, tra precariato e disillusioni. In scena si muovono con disinvoltura e leggerezza Sara Bonaventura e Claudio Cirri, che interpretano sé stessi e chiamano in causa il pubblico nell’interrogarsi sulle rispettive vite, che poi non sono tanto diverse da chi li osserva in poltrona. Sveglia presto per provare a fare i più svariati colloqui di lavoro con annesse prove di capacità – non sembra facile neppure entrare in un’organizzazione mafiosa –, lei si prende cura di una madre scheletrica e insieme tentano di vincere la battaglia con i vecchi, quelle generazioni dei padri che non lasciano scampo e speranza al futuro dei giovani, specie per chi decide di vivere “facendo teatro”. Non resta allora che guardare in faccia il proprio “daimon” interiore, che racchiude sogni, aspirazioni, speranze, farlo tacere o meglio ancora ucciderlo, sopravvivendogli per cercare una sorta di normalità. Ammesso che esista…

Abbiamo ricordato solo alcune visioni di stArt up, una parziale carrellata per dar conto di produzioni che vedono protagonisti le compagnie pugliesi impegnate nel portare avanti un progetto che cerca sia di radicarsi nei luoghi, ma al contempo aprirsi ad uno sguardo più ampio. Il programma ha proposto anche momenti di approfondimento e riflessione attraverso le nuove tendenze del teatro contemporaneo, incrociando sguardi e prospettive, anche a partire dal pubblico, che a stArt up è stato presente, partecipe e attento, accompagnato alla visione con “Allenare lo sguardo. L’arte dello spettatore”, condotto da Massimo Marino.

Per dare voce, nel centro storico di Taranto, ai nuovi “Linguaggi del teatro contemporaneo”, nel settecentesco palazzo Pantaleo è stato organizzato, con la collaborazione dell’ANCT (Associazione nazionale critici di teatro), uno scambio di esperienze, con attenzione alle produzioni italiane ed europee, e dando spazio anche ad una ricognizione sul ruolo della critica, a partire da un confronto aperto con pubblico e autori.

Nell’ottica di scambio che ha caratterizzato tutto il festival, di costruzione di una rete sul territorio, di condivisione di buone prassi, anche il confronto con l’associazione Etre (la Rete delle residenze teatrali della Lombardia) ha proposto spunti di interesse, aprendo una pagina di approfondimento sull’Informal European Theatre Meeting, realtà composta da 300 organizzazioni professionali provenienti da 40 differenti Paesi, attiva nel mondo del teatro e della danza, impegnata a creare sinergia e network per realizzare scambi internazionali.

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