XIV Giardino delle Esperidi: maratona teatrale sul Monte di Brianza

Photo: Luisa Mizzoni|Vajo Solo (photo: Luiza Mizzoni)|photo: Luiza Mizzoni
Photo: Luisa Mizzoni|Vajo Solo (photo: Luiza Mizzoni)|photo: Luiza Mizzoni

Marcel Proust affermava che “il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuovi orizzonti, ma nell’avere nuovi occhi”. E allora la passeggiata di dodici ore sul Monte di Brianza, tra Ello, Figina e San Genesio, una fra le tappe del primo weekend del festival Il Giardino delle Esperidi, ha racchiuso, nello spazio di una ventina di km tra sentieri scoscesi e ruscelli all’ombra del bosco, l’essenza di ciò che è conoscere un luogo: vivere senza remore il territorio assorbendone l’identità; riconoscere la parte più intima e profonda di ognuno di noi, nel silenzio delle parole in cui è la natura a pronunciarsi.
In questo percorso di walking, connubio di rara intensità tra arte e paesaggio, l’arte potenzia lo sguardo collettivo. L’esplorazione si trasforma in rito. Il nesso tra comunità del luogo e visitatori, cultura, arte, persino cibo, diventa inestricabile, in una sorta di cerimoniale alchemico.

Magia del teatro e magia dei luoghi. Ascoltarsi e ascoltare. Trasversalità e contaminazione, anche dei linguaggi espressivi. Come ne “Il mio compleanno” di Riserva Canini, lo spettacolo inaugurale della rassegna. Idea originale, quella della compagnia fiorentina: trasformare l’emicrania, una patologia, in suggestione onirica, per accostare fragilità e tormenti della nostra epoca.
Con l’ausilio di monocromi disegni naif, con ombre, sagome, acetati, Riserva Canini crea una sorta di castello kafkiano. La drammaturgia oscilla tra la solitudine alienante e un bazar (ancor più alienante) di voci e suoni fuori campo. Un’eco distorta rimbomba nello spettatore stuzzicandone la fantasia. Essenziale, in questo lavoro, la riproduzione di suoni live distorti o amplificati. Ne nasce una sorta di audiodramma. Parole, rumori, musica, luci, immagini convergono in un amalgama ipnotico. Il lavoro necessita ancora di qualche ritocco per liberare appieno il proprio potenziale espressivo.

Perfettamente rodata, invece, “La grande foresta” di Francesco Niccolini e Luigi D’Elia. Si racconta la storia di un bambino di un Sud atavico, che impara dal nonno ad amare la foresta e i lupi. Il nonno illustra ritualità ancestrali con le quali sono avvolte procedure e tecniche di caccia. Esploriamo gli aspetti misteriosi e le leggi di una natura approcciata con rispetto e circospezione. Al fruscio degli animali e dei versi di uccelli notturni, al Mulino Tincali di Olgiate Molgora, D’Elia dialoga con i mille suoni che fanno da cornice a una narrazione essenziale, capace di affascinare i bambini.

Viajo Solo (photo: Luisa Mizzoni)
Viajo Solo (photo: Luisa Mizzoni)

Ben costruito anche “Viajo Solo” di Pleiadi Art Production, spettacolo di teatro danza ispirato alle lettere di Frida Kahlo, con la regia e la drammaturgia di Mariasofia Alleva.
Al centro, la poetica e l’umanità ferita della pittrice messicana, segnata da cicatrici nel corpo e nell’anima, eppure capace di cogliere sempre il lato gioioso della vita.
La danza di Chiara Ameglio, flessuosa, ruvida, a tratti spigolosa, è fuga, ricerca d’armonia, anelito d’amore. Il movimento esprime l’incessante inquietudine di una creatura fragile mai arrendevole. Sorrisi distesi s’alternano a smorfie grottesche. Luce e musica creano prigioni invisibili. L’abito a fiori della protagonista, come la sua arte, è atto di ribellione.
La gabbia che avvolse la vita di Frida, segnata dagli incidenti e dagli aborti, scenograficamente si traduce in un diaframma, una tela nella cui penombra una seconda performer, Maria Dolores Marrero, evoca esperienze trasognate. Il dolore diventa bagaglio esistenziale. Ecco perché, nel finale, da una valigia dell’attore spuntano costumi e travestimenti con cui la protagonista riempie simbolicamente lo spazio scenico, riversando sul pubblico il proprio dirompente fluido creativo.

Il teatro richiede sforzo fisico. Per chi lo fa, ma alle Esperidi anche per chi lo fruisce. E allora il direttore artistico Michele Losi, un passato da guida alpina, s’inventa una camminata tra i boschi sulla distanza della mezza maratona, con qualche imprecazione degli operatori Rai corsi a immortalare l’evento, e rare benedizioni dei quaranta coraggiosi che desiderano tonificare muscoli e umore. Per fortuna, a intervallare la sgroppata guidata da Losi con Sara Talita Vilardo, ci sono gli spettacoli.

Come “E io non scenderò più”. Che non è una minaccia della Rai, ma l’istrionico spettacolo per bambini che la compagnia toscana Stradevarie dedica al “Barone rampante” di Italo Calvino. Si tratta di un mix tra caccia al tesoro, travestimenti, stornelli alla fisarmonica e arrampicate circensi.
Soledad Nicolazzi e Sara Molon creano uno show bislacco, tra rami volti verso il cielo, personaggi evanescenti e briganti pensili. I bambini assistono allo spettacolo giocando e mangiando la frutta disseminata nel bosco. Ma ci sono anche le voci fuori campo di altri bambini, che ci raccontano dell’amore. E scopriamo che i loro occhi candidi, filtrati dall’immaginazione, capiscono e conoscono l’amore assai meglio di noi adulti.

Le montagne, l’avventura, e quel ramo del lago di Como caro al Manzoni. E allora è irrinunciabile il monologo “In capo al mondo” che Luca Radaelli di Teatro Invito dedica all’alpinista ed esploratore lecchese Walter Bonatti. Uno spettacolo emozionante sul “masochista celeste”, come Giorgio Bocca chiamò Bonatti. Lo accompagna il ritmo blues di Maurizio Aliffi. Musicale è anche la voce di Radaelli, che evoca paesaggi lunari mozzafiato, il deserto australiano o le cime lattiginose del Karakorum. Come se fossimo davanti a un libro di avventure, torniamo bambini anche a noi, che siamo “della razza di chi rimane a terra” (Montale). E al cospetto di imprese così grandi, comprendiamo come la fatica di una lunga camminata tra i boschi sia davvero piccola cosa.

L’intermezzo serale con la frizzante band umbro-laziale La Tresca ci riporta con i piedi per terra. Questo combat folk richiama i Modena City Ramblers, e contaminazioni che vanno dal rock alla tarantella, dalle sonorità celtiche al punk. L’epilogo, ballato dal carrozzone di tutti i teatranti, è un omaggio a Fabrizio De André.

Gran finale del primo weekend con l’attore e puppet designer cileno David Zuazola. Che regala con “The game of time”, tra sonorità rock psichedeliche, un teatro surreale fra Chagall e Tim Burton: atmosfere fiabesche, luci rossastre, personaggi onirici proteiformi – un po’ bestie un po’ uomini – occhi fluorescenti, carrucole. E un gallo impertinente, che strappa all’abbraccio di Morfeo i bambini più piccoli. Quello di mago Zuazola, a metà tra fantascienza e artigianato, è un teatrino ambulante che conferisce inaspettata armonia a sette storie dirette da registi tra loro agli antipodi, dalla Polonia al Portogallo, dalla Colombia all’India, a Taiwan.

The game of time (photo: Luisa Mizzoni)
The game of time (photo: Luisa Mizzoni)

Prossimo weekend ancora nel Monte di Brianza con Nuove Cosmogonie Teatro, Stradevarie, Astorri Tintinelli, ScarlattineTeatro e Cada die teatro. Piatto forte “Arianna e Teseo”, performance itinerante di Pleiadi Art sulle tracce del Minotauro: venerdì 29, sabato 30 e domenica 1 luglio, a Figina (Galbiate) sempre alle ore 17.

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