Il 25 aprile di Renato Sarti: il teatro come antidoto al fascismo di ritorno

Renato Sarti (ph: Barbara Rocca)
Renato Sarti (ph: Barbara Rocca)

Mentre la Rai cancella Scurati, La7 celebra l’anniversario della Liberazione trasmettendo “Il duce delinquente” di Aldo Cazzullo

«Semplicemente, in questo spettacolo non ci sono opinioni. Ci sono fatti, nomi, date, numeri che nessuno ha potuto contestare. E dimostrano come il bilancio del fascismo sia fallimentare da ogni punto di vista: etico, politico, militare. Abbiamo perso su tutti i fronti, con i francesi, con i russi, con gli inglesi, con i greci. E poi la crisi economica: dopo la guerra, i risparmi degli italiani non valevano più nulla. E ancora, il “fronte edilizio”. È vero che il duce fece costruire delle belle case. Ma due milioni di abitazioni furono distrutte durante i bombardamenti. Quindi nel fascismo non c’è nulla da salvare. Dobbiamo soltanto vergognarci».

Aldo Cazzullo sintetizza così “Il duce delinquente”, rimbalzo a due voci con Moni Ovadia andato in onda ieri sera in prima serata su La7 in occasione delle celebrazioni del 25 aprile. Non usa dunque mezzi termini Cazzullo, firma del “Corriere della Sera”, scrittore e autore di libri d’inchiesta di carattere storico e culturale, conduttore del programma televisivo di approfondimento “Una giornata particolare”.

Coproduzione Corvino Produzioni – CTB Centro Teatrale Bresciano, “Il duce delinquente” è una lettura scenica arricchita dagli interventi musicali e canori dal vivo di Giovanna Famulari. Tratto dal libro dello stesso Cazzullo intitolato “Mussolini il capobanda. Perché dovremmo vergognarci del fascismo” (Mondadori, Milano 2022), il lavoro documenta gli infiniti crimini commessi durante il Ventennio.
Lo ha trasmesso La7, una rete privata. Non la Rai, che si è invece distinta per avere cancellato il breve monologo sul 25 aprile dello scrittore Antonio Scurati dal palinsesto di «Che sarà» su Rai3, trasmissione condotta da Serena Bortone.

La Rai che si autocensura. Il servizio pubblico che ha paura di una voce libera, colpevole di imputare alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni di non essersi mai dichiarata antifascista. La nostra Repubblica è ancora contaminata dal virus dell’intolleranza.
I lacchè ai vertici di viale Mazzini sembrano prevenire le richieste stesse del potere. Mamma Rai è avvezza a questa logica adulatoria. Rientra in essa anche la cancellazione nello scorso autunno di “Insider” di Roberto Saviano, viaggio alla scoperta delle associazioni criminali. Quattro puntate già registrate non sono mai andate in onda. Tra esse, l’intervista all’unico testimone del delitto di don Peppe Diana, e un’inchiesta sull’ascesa del boss Matteo Messina Denaro.

Per non turarsi il naso davanti ai miasmi della Direzione Generale, sono trasmigrati verso altri lidi Fabio Fazio e Luciana Littizzetto, Corrado Augias, il duo Gramellini-Vecchioni, Bianca Berlinguer, persino il ligio Amadeus. E non dimentichiamo i recenti diktat contro il cantante Ghali, reo di aver usato a Sanremo la parola “genocidio” a proposito dei crimini israeliani a Gaza. O le contorsioni di Mara Venier per zittire Dargen D’Amico, che chiedeva di proteggere i bambini dalle atrocità della guerra.

Smette di essere servizio pubblico una Rai che stanzia 6 milioni di euro per la trasmissione “Avanti popolo” (poi chiusa per manifesta inconcludenza), che depenna Scurati e lascia “Il duce delinquente” alla concorrenza. È mediocre una Tv di Stato che svuota due canali di contenuti, che azzera le voci critiche e riduce i Tg a una carrellata anonima di cronaca nera, politica estera, gossip, costume e società, made in Italy, sport e canzonette, trascurando la politica interna e i problemi reali del Paese (sanità, inflazione, debito pubblico, aumento dei prestiti).

E allora acquisisce ancora una volta importanza il teatro come forma di Resistenza. Ce lo ricorda Renato Sarti, autore di spettacoli cult come “Mai Morti”, “Nome di battaglia Lia”, “Matilde e il tram per San Vittore”, “Ottobre ‘22”.
«Il 25 aprile – ci spiega Sarti – serve a non uccidere una seconda volta quelle persone che sacrificarono la loro vita o gli anni più belli della loro gioventù per ridare democrazia, pace e libertà a questo Paese dopo un ventennio di dittatura orribile, contrassegnato da crimini e violenze, misfatti come l’uso di tribunali speciali, torture e gas».
«Il 25 aprile – aggiunge Sarti – è un modo per mantenere le antenne tese, perché dalle esternazioni sull’aborto, al voto di condotta nelle scuole, alla stretta contro l’istituto di Pioltello che aveva decretato la chiusura nel giorno del Ramadan, al caso Scurati, tutta una serie di avvisaglie ci fa capire che chi ci governa non ha il coraggio di dichiararsi antifascista perché sostanzialmente fascista lo è ancora nel profondo dell’anima. Come fanno a dirsi antifascisti se il loro Dna è questo? Ciò li porta a desiderare un governo autoritario e non autorevole, come sta accadendo in altre parti d’Europa e rischia di accadere in America, qualora Trump dovesse rivincere le elezioni».

Il caso Scurati evidenzia come si vogliano imbavagliare le voci dissenzienti. Quella di Scurati è solo un’opinione. Ma la scelta di togliergli la parola disattende il principio cardine della libertà d’espressione.
Sarti deplora la cancellazione di Scurati in Rai ed encomia la scelta di La7 di celebrare il 25 aprile programmando “Il duce delinquente”, spettacolo che quest’anno ha inaugurato la stagione del suo Teatro della Cooperativa: «Parliamo di un lavoro che sfata il luogo comune di un fascismo che ha fatto anche cose buone. La7 sceglie di denunciare Mussolini perché il duce era un mascalzone. Avrebbero dovuto farlo anche le reti nazionali. Su questi temi non c’è spazio per l’ambivalenza. Non si può rimuovere una colpa collettiva attribuendo le stragi nazifasciste alla sola Germania. Non si può sostenere che gli italiani fossero brava gente. Bisogna far capire di che razza fossero Mussolini e tutto il suo ciarpame intorno: gente violenta, assassina, antisemita. Il fascismo è una pagina oscura che solo la Resistenza e una Costituzione antifascista hanno potuto riscattare».

Renato Sarti rimarca infine l’importanza di un passaggio di testimone. «I testimoni diretti non ci sono più. Ora tocca a noi, alla società civile, all’arte, ai giovani portare avanti le testimonianze dei superstiti della Shoah, dei partigiani, degli ex deportati. Di Arianna Szörényi, ebrea di Fiume che riuscì a sopravvivere ad Auschwitz perché la madre le aveva promesso un premio se fosse riuscita a superare la selezione, e l’aveva invitata a mordersi le labbra perché assumessero un colore più acceso. Come premio, Arianna tornò a casa: orfana ma viva. Il teatro, il cinema, anche con film edulcorati come “La vita è bella”, o con altri più crudi come “Kapò” di Gillo Pontecorvo, “Shoah” di Claude Lanzmann o “Schindler’s list” di Steven Spielberg, la loro parte l’hanno fatta. Il teatro è un argine per conservare la memoria storica. È un antidoto ai razzismi, all’autocrazia e all’ingiustizia politica e umana. È questo il compito dell’arte».

0 replies on “Il 25 aprile di Renato Sarti: il teatro come antidoto al fascismo di ritorno”
Leave a comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *