Figli smarriti o feroci, madri e padri impotenti o infanticidi. In ogni caso macchiati da una colpa, una sorta di peccato originale dal quale è impossibile redimersi, se non attraverso l’annullamento identitario o la carneficina.
Non c’è salvezza nell’universo creaturale dipinto da Kronoteatro che, nel progetto “Familia”, presentato per la prima volta in una visione d’insieme al teatro Elfo Puccini di Milano, scarnifica i rapporti parentali e generazionali svelandone tutta la spietatezza.
Svuotata da ogni funzione protettiva, la famiglia diventa un contenitore afasico, claustrofobico, una prigione capace di generare odio e violenza, passaggio indispensabile per l’autoaffermazione o l’autodistruzione.
Al centro dell’azione scenica è il corpo, utilizzato come principale veicolo espressivo, a cui la parola si lega come elemento consequenziale, comunque secondario e che di fatto si fa spesso voce fuori campo, eco lontana. Come lontane sembrano essere le radici da cui nascono i conflitti, profondamente legati a una tradizione arcaica e mitologica, rievocata in ogni “capitolo” della trilogia.
Il risultato di questo catalogo di storie, che colpiscono soprattutto per l’attenzione estetica e formale con cui sono state concepite, è conturbante. Ma di rara bellezza.
ORFANI_la nostra casa
Luci soffuse, musica sacra e un rettangolo di terra che esala un profumo acre. Da un lato il “Maestro”, vestito di nero e seduto su un trono; dall’altro cinque ragazzi, valigia in mano, pronti a varcare la soglia della “casa” che li accoglierà.
Costretti a spogliarsi dei propri vestiti, e con loro della propria memoria ed identità, i novizi vengono sottoposti a una sorta di rito iniziatico che prevede la regressione ad uno stato primordiale. In cui si recuperano gli istinti primitivi di sopravvivenza, lotta, di esclusione del debole e soprattutto ci si ricongiunge con la materia terra.
In questo percorso redentivo i ragazzi sono guidati dal Maestro, presenza incombente ma perlopiù silenziosa, che li osserva e li indirizza ad una dottrina oscura, svelata da versi estratti da un volume sacro, che parlano di “luce”, buio, di un dentro e un fuori, di liberazione, e che vengono ripetuti, e fatti ripetere, come fossero mantra.
A “disturbare” il rituale degli orfani-discepoli una voce fuori campo, quella di una donna-vecchia-madre, unica incursione femminile in un universo macho-centrico, che intona una nenia in cui il lamento cede talvolta il passo alla rabbia, raccontando storie di bambini diventati cattivi, bambini voluti e poi abbandonati.
Intenso, carnale, evocativo, il lavoro è in grado di suscitare profonde inquietudini, alimentate anche dalla vicinanza con cui il pubblico è chiamato ad assistere alla performance, disposto in panche di legno ai due lati del rettangolo di terra. Una prospettiva privilegiata che consente di “godere” di questi corpi “vivi” e in generale di un lavoro progettato con una tale cura verso gli aspetti scenici e drammaturgici da sfiorare la perfezione.
Orfani_la nostra casa
di Fiammetta Carena
in scena: Alessandro Bacher, Tommaso Bianco, Alberto Costa, Vittorio Gerosa, Alex Nesti, Maurizio Sguotti
scene e costumi: Francesca Marsella
luci e suoni: Enzo Monteverde
movimenti: Davide Frangioni
regia: Maurizio Sguotti
produzione: Kronoteatro
durata: 55’’
applausi del pubblico: 1’ 30’’
Visto a Milano, Teatro Elfo Puccini, il 28 gennaio 2013
PATER FAMILIAS_dentro le mura
Ugualmente claustrofobico ma dal ritmo molto più sincopato il secondo tassello della Trilogia, “Pater familas-dentro le mura”, in cui il conflitto e l’incomunicabilità generazionale si gioca all’interno delle quattro mura domestiche. O meglio, in quella linea di confine fra il mondo interno e gli stimoli che vengono da fuori.
Tre le forze in campo – un padre, un figlio e gli amici di lui – e due i livelli narrativi. Da un lato la realtà dove padre e figlio, vittime di una quotidianità asfittica, consumano una relazione fatta di impulsi rabbiosi e reciproche accuse. Dall’altro lo spazio onirico in cui prende vita quel labirinto costruito dal padre nei ritagli di tempo dal lavoro, unica dimensione in cui il padre-Minotauro e il figlio-Teseo possono realmente incontrarsi, conciliarsi (“salvami padre”) e scontrarsi fino al tragico epilogo.
Un labirinto che diventa anche la discoteca dove il figlio si stordisce con il gruppo di amici, giovani dall’esistenza vuota che tentano di riempire consumando stupri e gesti razzisti, e votandosi ad una filosofia di vita secondo cui il mondo si divide in “quelli che sanno, quelli a posto e quelli che non sanno, gli sfigati”.
E’ a quest’ultima categoria che iscrivono il padre del loro amico, a cui chiedono una prova del non essere come il genitore. E il figlio decide di offrire il padre in pasto alle bestie.
Grazie a una costruzione scenica precisissima, il lavoro diventa un catalogo di immagini di grande effetto in cui il corpo dei giovani è pura “materia viva”, consacrata alla violenza e all’edonismo, in forte contrasto con l’aspetto dimesso del vecchio.
Musica elettronica e movimenti scenici accelerati contribuiscono a creare quell’atmosfera volutamente incalzante e stordente. Anche se i continui spostamenti dei sei grandi tavoli di legno, che costituiscono l’unico elemento scenografico, finiscono per creare un’eccessiva confusione, soppiantando forse una scrittura drammaturgica a tratti carente.
Peccato, perché basterebbe una riscrittura più accurata per trasformare quello che al momento sembra uno studio con grandi potenzialità in una performance compiuta e impeccabile.
Pater Familias_dentro le mura
di Fiammetta Carena
in scena: Tommaso Bianco, Alberto Costa, Vittorio Gerosa, Alex Nesti, Nicolò Puppo, Maurizio Sguotti
scene e costumi: Francesca Marsella
luci e suoni: Enzo Monteverde
movimenti: Davide Frangioni
regia: Maurizio Sguotti
produzione: Kronoteatro
durata: 50’’
applausi del pubblico: 1’20’’
Visto a Milano, Teatro Elfo Puccini, il 30 gennaio 2013
HI MUMMY_frutto del ventre tuo
Al centro dell’ultima indagine sulla famiglia, la madre. Una madre impersonata da un soggetto maschile, che non camuffa la propria identità servendosi di falsetti vocali né di travestimenti. Attorno a lui/lei i quattro figli, a cui ha dato la vita privandosi probabilmente della propria. Carica di questo risentimento, la madre-Medea infligge alle sue creature giochi e supplizi, consapevole di poter ancora trattare i figli come fossero di sua proprietà.
In un escalation di brutalità, il lavoro, seppur breve, si suddivide in cinque capitoli, scanditi dalle aggettivazioni che connotano la figura della madre: “amorosa” nell’occuparsi di loro accanto ai lavori domestici, “vanitosa”, perché c’è stato un tempo in cui piaceva agli uomini, “spaventosa” mentre continua a imboccarli rinfacciando loro di avergli dato tutto in cambio di nulla, “giocosa” costringendoli a roteare sul pavimento inclinato legati al guinzaglio, e “tenebrosa” mentre li castiga con un rossetto rosso-sangue per il desiderio di emanciparsi. Fino all’inevitabile epilogo di vestirli con abiti mortuari, gli stessi da lei indossati, e sdraiarsi accanto a loro in attesa della fine.
Tra deliri di onnipotenza, sadismo, sensi di colpa e frustrazioni, la performance gioca sul confine labile tra l’istinto di vita e quello di morte, sottolineato anche dal rumore meccanico di una macchina ospedaliera che monitorizza i parametri vitali. Agghiacciante nella sostanza ma impeccabile nella forma, con la conclamata cura al dettaglio scenico e l’esaltazione del corpo in tutta la sua carnalità, caratteristiche distintive di questa Trilogia.
Hi mummy_frutto del ventre tuo
di: Fiammetta Carena
in scena: Tommaso Bianco, Alberto Costa, Vittorio Gerosa, Alex Nesti, Maurizio Sguotti
scene e costumi: Francesca Marsella
luci e suoni: Enzo Monteverde
movimenti: Davide Frangioni
regia: Maurizio Sguotti
produzione: Kronoteatro
in collaborazione con Teatro Stabile di Napoli e Napoli Teatro Festival Italia
durata: 50’’
applausi del pubblico: 1’50’’
Visto a Milano, Teatro Elfo Puccini, il 2 febbraio 2013