Sonia Bergamasco è “La Locandiera” secondo Antonio Latella

Sonia Bergamasco è la Locandiera (ph: Gianluca Pantaleo)
Sonia Bergamasco è la Locandiera (ph: Gianluca Pantaleo)

Al Piccolo di Milano la rivincita del femminile sul mondo maschile e aristocratico

E’ difficile, per noi, far uscire dal ricordo Valeria Moriconi che recita, diretta da Franco Enriquez, “La locandiera” di Carlo Goldoni. Vi è impressa, nel personaggio icona che interpreta, la sua leggerezza, la sua arguzia, la sua infantile caparbietà nel districarsi tra gli affetti che aspirerebbero a tentarla nell’alberghetto con cucina che dirige a Firenze, insieme al fido suo cameriere Fabrizio.

Siamo invece oggi al Piccolo Teatro Strehler di Milano, davanti ad una versione totalmente diversa di quel capolavoro goldoniano diviso in tre atti (qui in due parti), che prese la luce nel dicembre 1793 e fu rappresentata per la prima volta al Teatro Sant’Angelo di Venezia.
La commedia che ci regala Antonio Latella, con Linda Dalisi in veste come sempre di dramaturg e Sonia Bergamasco nei panni della protagonista Mirandolina, è sottilmente immersa nel contemporaneo. Ma, vuole subito precisare il regista, non si tratta per quest’opera solo di un gioco della seduzione, semmai di “…una grande operazione civile e culturale”. Con quest’opera Goldoni, come sottolinea Latella rendendo omaggio a Massimo Castri, “eleva una donna formalmente a servizio dei suoi clienti a donna capace di sconfiggere tutto l’universo maschile, soprattutto una donna che annienta con la sua abilità tutta l’aristocrazia”.

Chi sono gli affetti che, nella locanda di Mirandolina, la circondano cercando di conquistarla?
In primis l’aristocratico, un tempo ricco e potente, Marchese di Forlipopoli (Giovanni Franzoni), che le assicura protezione, a cui si contrappone il Conte di Albafiorita (Francesco Manetti) che al contrario, nato semplice mercante, si è talmente arricchito da poter comprare il titolo di cui si fregia, conquistando di diritto la possibilità di far parte della nobiltà fiorentina, e che offrirebbe alla locandiera risorse economiche in abbondanza.
Lei, intelligente, ironica e astuta, fa credere a entrambi di poter vincere la partita, ora illudendoli d’essere vicino alla meta agognata, ora ponendoli sottilmente a turno in segreto sdegno ma, sempre, avendo da ambedue regali e beneficio economico.
Finché si paleserà un terzo incomodo, il Cavaliere di Ripafratta (Ludovico Fededegni), lui sì aristocratico vero, borioso e misogino, personaggio che fu ispirato a Goldoni dal patrizio Giulio Rucellai, a cui la commedia è dedicata.
Ovviamente la nostra locandiera, punta sul vivo da un uomo che odia le donne, farà di tutto per farlo innamorare, riuscendoci, ma pure lei ne finirà infatuata.

Per districare la faccenda, la donna accetterà di sposare Fabrizio (Valentino Villa), come aveva auspicato del resto il padre, pur non essendone forse innamorata, mentre agli altri tre pretendenti verrà chiesto di andarsene, scornati.
Così la nostra Mirandolina potrà rivolgersi al pubblico maschile con le famose frasi che concludono l’opera: “Lor signori ancora profittino di quanto hanno veduto, in vantaggio e sicurezza del loro cuore; e quando mai si trovassero in occasioni di dubitare, di dover cedere, pensino alle malizie imparate, e si ricordino della Locandiera”.

Siamo al cospetto di una delle opere più famose e rappresentative di Goldoni, in cui finalmente una donna è protagonista, e dove i caratteri dei personaggi risultano ben delineati, non lasciando spazio a improvvisazioni; le concatenazioni drammaturgiche superano ormai del tutto i dettami della Commedia dell’Arte.
Il personaggio di Mirandolina si staglia come una donna che sa benissimo districarsi in un mondo dominato dai maschi, realtà che lei manovra a suo piacimento ricavandone anche benessere economico. Della partita sono anche i personaggi di Ortensia (Marta Cortellazzo Wiel) e Dejanira (Marta Pizzigallo), due commedianti alloggiate nella locanda e che si fingono nobildonne, cercando inutilmente di gabbare qualche malcapitato, ma non riuscendo a farlo in modo adeguato, e venendo poi scoperte nella loro “misera” identità.

Latella e Dalisi ci regalano una “Locandiera” contemporanea, ma non perché i personaggi non siano elegantemente vestiti con tessuti svolazzanti bensì in tuta, felpa, scarpe da ginnastica e infradito. Semmai perché nella protagonista, agghindata quasi sempre in una semplice veste bianca (i costumi sono di Gabriella Pepe), avvertiamo chiaramente tutte le nevrosi e le titubanze che oggi ci attraversano, ben lontana dalla civetteria che avevamo amato nel personaggio interpretato dalla Moriconi.
Mirandolina, ad un certo punto di spalle, è l’unica che comprende i meccanismi emotivi e i comportamenti degli altri personaggi, tenendoli in pugno, e ciononostante si sente in qualche modo impotente di fronte alle passioni che l’attraversano e, dopo aver lottato strenuamente con esse, sceglierà il male minore, rifiutando tuttavia caparbiamente quel benessere e quella sicurezza che le avrebbero dato i tre esponenti delle classi altolocate.

Lo spettacolo è ambientato in una scena attraversata da un fondale di legno chiaro, inciso da intarsi irregolari, mentre – tra antico e moderno – si notano un tavolo con sedie di plastica colorata e un angolo cottura moderno, su cui spicca una pentola rossa. Questa mescolanza tra passato e presente, accentuata dalle parole intatte nella loro consistenza, in perfetto stile goldoniano, dopo un momento iniziale di smarrimento non ci disturbano, ma anzi accrescono l’empatia verso la protagonista, in un personale attraversamento emotivo che accompagna il cambiamento d’epoca che il testo suggerisce.

Molti gli altri segni significativi che Latella dona alla scena, il ritmo ora lento ora accentuato, le risate convulse, l’ironia che a volte pervade i discorsi dei pretendenti, sempre pronti a denigrarsi, lo sfregolio delle luci al neon che accentuano i momenti più contrastanti (le luci sono di Simone De Angelis). E, su tutti, quella sorta di danza sommessa che Mirandolina conduce con il cappottino del Cavaliere che purtroppo non può essere amato, previa la propria sconfitta, e che quindi deve essere nascosto; o ancora la tenera ninnananna che lui, con il suo servo (Gabriele Pestilli), conduce sul corpo addormentato della donna, posato teneramente sul tavolo, accompagnati dalle flebili atmosfere sonore di Franco Visioli.

Ben congegnato, lo spettacolo si fa amare per la perfetta e significante amalgama di tutti questi elementi, governato da uno stuolo di attori sempre in parte e dalla presenza autorevole di Sonia Bergamasco, che dà smalto e nuova potenza ad un personaggio di moderna e autorevole consistenza.

La locandiera
di Carlo Goldoni
regia Antonio Latella
con Sonia Bergamasco, Marta Cortellazzo Wiel, Ludovico Fededegni, Giovanni Franzoni, Francesco Manetti,
Gabriele Pestilli, Marta Pizzigallo, Valentino Villa
dramaturg Linda Dalisi, scene Annelisa Zaccheria, costumi Graziella Pepe, musiche e suono Franco Visioli
luci Simone De Angelis, assistente alla regia Marco Corsucci, assistente alla regia volontario Giammarco Pignatiello
produzione Teatro Stabile dell’Umbria

durata: 2h 30′ compreso intervallo

Visto a Milano, Piccolo Teatro, il 2 marzo 2024

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