La biografia di Poe è una discesa che non porta all’inferno

Poe - Discesa all'inferno
Poe - Discesa all'inferno
Poe – Discesa all’inferno (photo: Rosalia Loia)

Prendi tre donne. Spogliale. Lascia loro indosso solo pochi stracci, qualcosa che si prenda gioco delle rispettive dignità. Dona loro un’angoscia, qualcosa che le costringa in gabbie da zoo di poco più grandi dei corpi rannicchiati. Sbattile nell’angolo più sporco di uno scantinato, a marcire arrovellandosi sulla propria situazione, facendo crescere poco a poco la consapevolezza di essere scivolate in una viscida trappola.

Sono nelle mani del famelico e psicotico signor Usher, scrittore paralitico dal portafoglio gonfio, che s’è messo in testa di provare le interazioni tra la biografia del maestro del terrore Edgar Allan Poe e i drammi privati di tre volontarie, cui egli ha promesso un’ingente somma di denaro. Un esperimento, insomma, che, sfruttando cavie umane, tenta di dimostrare – chissà poi a chi – come il senso di colpa e il rimorso siano parassiti impossibili da estirpare. Il tutto con l’aiuto di un carceriere prezzolato, Rufus, anch’egli cavia suo malgrado. Sarà lui a interpretare Poe in una commedia che Usher ha scritto proprio per loro, lasciando alle donne i ruoli della giovane moglie dello scrittore, della sua perversa suocera che ammazzerà la figlia per gelosia e di una prostituta con cui “Eddie” – così lo chiamano le tre donne – si è costruito una famiglia clandestina.

Il meta-teatro, sì. Su questa chiave drammaturgica l’autore Tommaso Basetti (pseudonimo del regista Antonio Santoro, come si preoccupa di specificare in note di regia) e il suo compare Pierpaolo Brunoldi puntano per condurre lo spettatore in una “discesa all’inferno”. I presupposti, provenienti da un’interessante elaborazione della biografia di Poe mischiata alle trame dei suoi racconti neri, ci sarebbero anche. Quella che però un’operazione del genere gridava come ‘conditio sine qua non’ era l’originalità, che invece tarda a manifestarsi.
A cominciare dal setting dello scantinato, passando per l’ambientazione tardo-ottocentesca, fino alla presenza invadente di sesso e sangue, il richiamo evidente di Brunoldi/Basetti è alla grande tradizione del Grand-Guignol, spunto di per sé curioso, vista la totale assenza del genere dalle scene attuali.
Ma lo scantinato, l’antro buio, è patinato al punto da somigliare a un set televisivo, la sbobba che il carceriere dà in pasto alle affamate cavie – quando non è mimata – è comunque semplice acqua, gli abiti sono appena usciti dalla tintoria e, in quella che appare come una corsa insensata al realismo dei gesti usando mezzi del tutto asettici, non resta traccia alcuna di quella componente ironica che dava senso al Grand-Guignol come genere popolare.

Purtroppo non avviene, in questo “Poe”, alcuna discesa all’inferno; c’è piuttosto un continuo mostrare ogni cosa da un punto di vista frontale, statico – quasi sempre utilizzando gli stessi stratagemmi scenici e di svelamento –, senza lasciare alcuno spazio al divertimento da lunapark che il grande genere di ‘rue Chaptal’ portava. Né ad alcuna cattiveria, su cui la regia avrebbe potuto contare per salvare le proprie sorti.
Non esiste né può esistere alcuna via di mezzo definita tra orrore reale e orrore dipinto (sia esso fisico o psicologico), se non quella governata dall’ironia, dalla sintesi, dalla teatralità, tutti elementi che mancano a questo pur interessante esperimento di drammaturgia. Il rischio è sempre lo stesso: prendere troppo sul serio una situazione che, vuoi per ambientazione, vuoi per evoluzione dei personaggi, vuoi per probabilità degli attori, non potrebbe mai pretendere di trasferire una passionalità genuina. Meglio allora veder scorrere sangue, veder mangiare cibo avariato, veder gli attori che si strangolano a vicenda.
Se, per non essere estremi, si preferisse usare sangue finto, cibo “in stile avariato” e strangolamenti mascherati, andrebbe bene lo stesso. Ma non ci sentiremmo presi in giro.

POE – DISCESA ALL’INFERNO
di Tommaso Basetti e Pierpaolo Brunoldi
regia: Antonio Santoro
produzione: Kadjia
interpreti: Martino Duane, Maia Orienti, Riccardo Ballerini, Annamaria Zuccaro, Odette Piscitelli
costumi: Giusy Nicoletti
ideazione spazio scenico: Antonio Santoro
musiche originali: Matteo Ceccarelli
luci: Anna Maria Baldini
durata spettacolo: 1 h 30’
applausi del pubblico: 1’ 15’’

Visto a Roma, Teatro India, il 29 aprile 2009

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