L’Edipo Re del Teatro dell’Elfo, assetato di un illuministico bisogno di conoscenza

Edipo Re (photo: Lorenzo Palmieri)
Edipo Re (photo: Lorenzo Palmieri)

Ferdinando Bruni e Francesco Frongia firmano la favola nera tratta da Sofocle, in scena a Milano fino al 14 aprile

«Avrai milioni di sudditi muti, un popolo di morti, un affollato deserto, un silenzio di mezzanotte in pieno giorno».
Potrebbe essere una metafora della guerra, “Edipo Re. Una favola nera” (da Sofocle), che il Teatro dell’Elfo mette in scena a Milano fino al 14 aprile.

La rilettura contemporanea di Edipo operata da Ferdinando Bruni e Francesco Frongia, curatori della traduzione del testo e della messa in scena, attraversa la lacerazione dell’uomo tra dèi e destino, tra colpa e conoscenza.
Edipo, archetipo di tutte le dissoluzioni, è il più infelice dei mortali: scegliendo di sfuggire alla predizione dell’oracolo che lo vuole assassino del padre e marito di sua madre, egli si getta in pasto alla propria sorte. Dopo essersi creduto a lungo il migliore degli uomini, si confronta con la tragica, ineluttabile verità di una colpa che pone interrogativi universali sul senso della sofferenza. Ad allontanare il dolore, non bastano la buona volontà o una condotta giusta. In nessun modo Edipo può evitare una condizione di solitudine, impotenza, sconfitta.

Il senso più profondo della tragedia antica è di mettere in luce e approfondire le sofferenze del protagonista, emblema delle nostre fragilità. Al centro dell’opera c’è l’individuo lacerato da un conflitto irriducibile, suscitato da condizioni immutabili.
Eppure l’Edipo interpretato da Valentino Mannias (in scena con lo stesso Bruni, Edoardo Barbone e Mauro Lamantia) assomiglia più all’Ulisse dantesco che al sulfureo eroe sofocleo. Motivo centrale dello spettacolo è quello della conoscenza. Edipo si avventura nel suo viaggio verso l’ignoto, spinto dall’ardore di sapere. Pur di giungere alla verità, è disposto a sacrificare credibilità, potere, prestigio, affetti, la propria stessa vita. Come per Ulisse di “Inferno XXVI”, anche in questo Edipo è nella conoscenza che risiede la massima nobiltà dell’uomo. Sempre per citare Dante, la scienza è l’«ultima perfezione de la nostra anima» (“Convivio”).
Più radicale dello stesso Ulisse dantesco, Edipo sacrifica «virtute» a «canoscenza», persuaso che la verità sia più importante dell’etica, se l’etica non rinnega il sacrario inviolabile della coscienza.

Figura topica della psicanalisi freudiana, l’Edipo di Bruni e Frongia si emancipa da Sofocle e prova a razionalizzare l’inaccettabile. Prova a dissipare il pathos più distruttivo. Sembra svincolarsi dai meccanismi psichici della rimozione e del transfert, che dovrebbero condurlo ad allontanare il pensiero della colpa e il timore della conseguente rovina. Egli è un illuminista. Tuttavia la razionalità con cui agisce non è tale da esorcizzare l’alone misterioso che confonde onestà e colpevolezza. Ecco perché i protagonisti si muovono sempre lateralmente su una scena grigia, caliginosa, con una staccionata che percorre il palcoscenico nel senso della larghezza, e sembra il muro di Gaza. Su tale barriera si aprono sipari-verità, tasselli-indizio, porte verso un altrove tutto da decifrare. Nel fumo si definiscono faticosamente le colpe del parricidio e dell’incesto. Le ragioni di quelle colpe restano insondabili per Edipo che ne è vittima. Eppure egli le accetta, come si fa con le sciagure della vita.

Ispirandosi alla poetica dello scultore e pittore greco Jannis Kounellis, la scenografia utilizza materiali d’arte povera come pietre, polvere e funi. Un senso di desolazione crea un’estensione senza spazio né tempo. Attori e spettatori sembrano confondersi nella stessa caligine. Sulla scena due cubi, uno di libri, l’altro di pietre. Sul primo s’insedia la figura della Sfinge, emblema di un sapere divino e mostruoso, segno dell’eterna domanda sulla natura dell’uomo.

«Ho sognato il sogno della vita. Come acqua agitata la mia vita mi dava la caccia». Paradossalmente, tutte le figure in scena abitano il mondo delle ombre tranne Edipo, che è in costante ricerca della luce. Gli altri personaggi sono ambivalenti, nascondono aspetti molteplici e inquietanti. Di qui la loro frammentazione in personaggi minori, mentre Edipo campeggia nella propria identità e solitudine, affidato all’interpretazione solida e spiazzante di Valentino Mannias. Gli altri attori, come si diceva, giostrano (credibilmente, con senso della misura) tra vari personaggi. Sono voce e coro. Edoardo Barbone è Creonte e Manto; Ferdinando Bruni è Laio, Sfinge, Tiresia, il Pastore; Mauro Lamantia è interprete maschile per Giocasta, somma inafferrabile di tutte le ambiguità.
Questo carosello di personaggi è valorizzato dai costumi stregati di Antonio Marras. I costumi sono opera d’arte a sé. Essi hanno consistenza materica, quasi fossero partenogenesi dei personaggi, e coniugano elementi barocchi ed elementi naturali come rami e cespugli. Il gioco enigmatico, imperscrutabile di chiaroscuri è rinvigorito dalle maschere di Elena Rossi, che coprono i volti di tutti i protagonisti tranne quello di Edipo, rischiarato dal bisogno di autenticità.

“Edipo re” dell’Elfo è un lavoro multimediale raffinato, visuale, che esprime al meglio l’arte del teatro nella sua totalità. Esso racchiude un senso di disincanto proprio mentre si fa latore dell’urgenza comunicativa che la pandemia ha compresso. Nella peste che tiene in ostaggio la città di Tebe, non è difficile individuare la sottotraccia dell’epoca Covid. Sulla scena le penombre del light designer Nando Frigerio, i suoni distopici e le musiche dark di Giuseppe Marzoli e i disegni animati dello stesso Frongia spingono a interrogarsi sul significato delle cose.

Anche di un testo come “Edipo re” è possibile scompaginare la visione tradizionale. La Compagnia dell’Elfo, in un meticoloso lavoro di squadra (che va dalla riscrittura del testo alla messinscena, ai costumi, alle maschere, ai suoni, alle luci, al lavoro rigorosissimo sugli attori) rinvigorisce il mito, scomponendolo in un insieme di frammenti di statue antiche posati su un palcoscenico sempre in costruzione. Ed è così che il mito mantiene la propria immortalità, rispondendo a domande sempre nuove.

Edipo Re – Una favola nera
da Sofocle
traduzione e adattamento Ferdinando Bruni e Francesco Frongia
uno spettacolo di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia
con Edoardo Barbone, Ferdinando Bruni, Mauro Lamantia, Valentino Mannias
costumi di Antonio Marras
realizzati da Elena Rossi e Ortensia Mazzei
maschere Elena Rossi
luci Nando Frigerio
suono Giuseppe Marzoli
si ringrazia Tonino Serra per la decorazione del mantello di Edipo
produzione Teatro dell’Elfo

durata: 1h 15’
applausi: 4’

Visto a Milano, Teatro Elfo Puccini, il 15 marzo 2022
Prima nazionale

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