Tra i debutti delle Colline Torinesi 16, in cerca d’identità

Hamlet Private ha aperto il Festival delle Colline 2016|Licia Lanera in Orgia (photo: Luigi Laselva)
Hamlet Private ha aperto il Festival delle Colline 2016|Licia Lanera in Orgia (photo: Luigi Laselva)

Progetti in divenire, al loro debutto o già collaudati. La prima settimana di spettacoli della XXI edizione del Festival delle Colline Torinesi ha mischiato le carte. Fin dal principio.
Con “Hamlet PrivateScarlattine Teatro ha infatti presentato a Torino – con l’entusiasmo degno di un debutto – il format finlandese per spettatore solo e tarocchi che porta in giro con successo da qualche anno.

Amleto diventa un pretesto per trascorrere un’esperienza di circa trenta minuti (il tempo di una clessidra) davvero piacevole. Alla lettura dei tarocchi a tu per tu con Giulietta De Bernardi si affianca, ad un secondo tavolo, Marco Mazza.
L’attrice accoglie lo spettatore con un bicchiere di vino: ci si sente subito a proprio agio. E si ritrova quel rapporto “face-to-face” che spesso manca nel teatro.
Se “ci stai dentro” il rapporto tra attore e spettatore diventa così confidenziale da riuscire con tranquillità a parlare di sé stessi, della vita, del senso del tutto… Il teatro ritrova una sua forma intima in cui ci si sente accolti. Un’esperienza che consigliamo.

Molto meno rodato, poiché ancora in divenire, il progetto “Stanze / Qolalka” presentato dai fratelli torinesi Gianluca e Massimiliano De Serio.
Sulla carta l’idea è molto interessante: a partire dai racconti e dalle parole dei rifugiati somali in soggiorno provvisorio a Torino, riprodurre una “catena poetica”, tradizionale modalità espressiva della poesia somala, attraverso l’interpretazione di Suad Omar, scrittrice e attrice oltre che mediatrice culturale.

Nella concretezza della restituzione al pubblico, proporre un’ora di letture in somalo con sottotitoli in italiano, inframmezzata da proiezioni di diapositive di stanze, risulta però una prova un po’ eccessiva a cui sottoporre il pubblico. Occorrerebbe forse pensare ad un’altra modalità di restituzione, non frontale e più partecipata anche dal pubblico, alla ricerca di un confronto “circolare” che forse potrebbe rendere l’esperienza emotiva della performance più efficace.

Anche per “Geppetto e Geppetto” di Tindaro Granata, appena recensito su Klp, si è trattato di un debutto.
Il tema scelto per questa coproduzione del Festival delle Colline è tortuoso, come lo è sempre per argomenti che rischiano – pur nella loro rilevanza – di sfiorare la retorica.
L’intento del terzo lavoro dell’autore siciliano è sì parlare di figli, del loro punto di vista, ma anche affrontare il diritto delle coppie omosessuali ad averlo, un figlio. Trattando quest’argomento non solo pensando al lato affettivo (“se un bambino è amato va tutto bene”), ma anche calandolo nella realtà della attuale società. Con la nostra atavica propensione al giudizio.

La storia è quella di una coppia di uomini che decide di avere un figlio, in Canada, attraverso un utero in affitto. Uno dei due però dopo poco muore ed ecco che la situazione diventa difficile. Si affrontano leggi “disumane”. Il bambino finisce in mezzo a tribunali e giudizi, quel figlio che, da “tanto amato”, si trasformerà in un adulto complicato e infelice. E che troverà forse una riconciliazione (con sé, con la sua famiglia, col passato…?) solo al capezzale del padre.

Se la prima parte di “Geppetto e Geppetto” è convincente, mostrandoci le insicurezze di chi si pone di fronte al mistero della paternità con dubbi e paure, riesce anche a farci sorridere nel dimostrarci arcaiche le leggi del nostro Paese, così come i suoi pregiudizi.
Nella seconda parte dello spettacolo, tuttavia, dopo la morte di uno dei padri, il ritmo sembra non reggere altrettanto bene, e lo spettacolo rischia di scivolare nei luoghi comuni.
In scena Tindaro Granata, coprotagonista insieme a Paolo Li Volsi, si distingue per l’assoluta naturalezza e per la capacità di rendere il pubblico partecipe del dramma.

Licia Lanera in Orgia (photo: Luigi Laselva)
Licia Lanera in Orgia (photo: Luigi Laselva)

Altro debutto anche per “Orgia”, rilettura di Pier Paolo Pasolini per la regia di Licia Lanera, una produzione di Fibre Parallele coprodotta dal Festival delle Colline.

Il progetto è sicuramente ambizioso. Affrontare Pasolini oggi resta tutt’altro che facile, e forse per questo in qualche modo ancora necessario (la figura di Pasolini sarà nuovamente avvicinata nei prossimi giorni di festival da Ricci/Forte con “PPP Ultimo inventario prima di liquidazione”).

Eppure Licia Lanera è in scena, felpa con cappuccio nero tirato sul capo ad incupire il volto, a incarnare “Donna” e “Uomo” di “Orgia”, trasformandoli in un unico archetipo urbano, solo, alienato.
Canzoni di Eminem ed un repertorio di rap commerciale creano una potenziale cornice di riferimento, ma la contestualizzazione non è facile. La scena è vuota, resta una sedia in pelle verso il fondo e alcuni pannelli che riportano dipinti secenteschi ad agire per antitesi sulla “narrazione/confessione”: sacro-profano, eros- thanatos, vittima-carnefice. Già visto.

Cosa arriva, oggi, del messaggio di un testo come “Orgia”? Cosa dovrebbe arrivare? L'”incapacità di stare al mondo” che Licia Lanera sceglie di rappresentare attraverso “Orgia”, mescolando identità e desideri di un individuo plurime, si manifesta in un monologo (che verrà poi spezzato dal comparire di Nina Martorana, la “Ragazza” di “Orgia”) che scorre per pretesti ammiccanti anche fin troppo compiacenti.
Il nudo dei corpi, il gettarsi a terra, il cadere e rialzarsi, i ghigni silenziosi non gridano il dolore che vorrebbero esprimere e paiono calcolati, prevedibili.

Tutto resta in superficie, nell’uso estetizzato di uno yogurt come elemento che sporca, simbolo di sangue o di sperma.
Scompare l’Uomo, scompare la Donna. Quello cui si rivolgeva Pasolini negli anni Sessanta, pur nell’universalità di un messaggio che ha saputo precorrere i tempi e rivolgersi anche ai nostri, non è qui né riprodotto né sostituito, e il lavoro di questa versione di “Orgia” risulta debole, quasi commemorativo, rimane all’ombra della potenza di un testo senza trasformarsi in qualcosa di originale.

Il festival prosegue, in questo mix di debutti e successi delle ultime stagioni, con il doppio appuntamento, stasera, con alcuni storici amici delle Colline: tornano infatti sia Cuocolo / Bosetti con “Roberta cade in trappola“, che i Motus con “Mdlsx“.

La seconda parte del festival si caratterizzerà per uno sguardo più intenso al teatro internazionale attraverso gli spettacoli di Blitz Theatre Group, Winter Family, Ludovic Lagarde e Mehr Theatre Group (di cui vi parleremo prossimamente), affiancati ai debutti di nuovi progetti tutti italiani: dalla prima lettura scenica di “Acqua di colonia”, di Daniele Timpano ed Elvira Frosini, all’anteprima di “Killing Desdemona” di Balletto Civile passando per le “Donne che sognarono cavalli” di Daniel Veronese nella versione di Roberto Rustioni e poi chiudere, il 20 e 21 giugno, con il debutto di “Socrate il sopravvissuto / come le foglie” di Anagoor.
Hanno tutte firme torinesi, infine, i debutti de “Il lamento, ovvero le lacrime di Monica Bacio” di Lorenzo Fontana, “1983 Butterfly” della Compagnia della Magnolia e “La donna che cammina sulle ferite dei suoi sogni” di Viartisti Teatro, tre ulteriori momenti di riflessione che riverberano la domanda di fondo di quest’edizione delle Colline: l’identità è un genere?

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