Finale di partita. Alle origini di Teatrino Giullare

Teatrino Giullare
Teatrino Giullare
Teatrino Giullare – Finale di partita (photo di scena: © Chiara Sbrana)

Far emergere il testo. Ecco l’obiettivo dichiarato e riuscito di Teatrino Giullare. Un progetto chiaro, ben determinato e perfettamente riuscito in “Finale di Partita”, capolavoro di Beckett e caposaldo nella storia artistica della compagnia, ospitato la scorsa settimana dal Teatrino Zero di Spinea, in provincia di Venezia, per questa seconda stagione di programmazione.

Ma anche punto di fuoco di un progetto più ampio, partito nel 2005, sotto il nome di “Artificio della scena”. Un progetto che ha spostato l’interesse di Giuliana dall’Ongaro ed Enrico Deotti dalla drammaturgia classica (Euripide, Plauto, Shakespeare) a quella contemporanea. Una scelta precisa, rivolta solamente a testi “potenti” che giocano su più livelli di significato, con lo scopo di coglierne la contemporaneità e il senso.
Sono nati così negli anni gli allestimenti di “Alla meta” di Bernhard, “Lotta di negro e cani” e “Coco”  di Bernard-Marie Koltès, “La stanza” di Harold Pinter.

E’ dal testo, e dalle espressioni degli stessi autori, che Teatrino Giullare coglie le possibilità per la messa in scena, per creare quell’artificio che permette allo spettatore di ritrovare la “realtà senza vederla riprodotta”, e “l’umanità dietro a mezzi non umani”.

Ecco allora l’idea del marionettismo in Bernhard, il gioco tra vero e falso in Pinter, le ombre in Koltès, la metafora della partita a scacchi in Beckett. Tutti meccanismi in cui si può ravvisare una certa eredità della commedia dell’arte – qui in chiave del tutto contemporanea – che la compagnia rimette in gioco, in modo più esplicito, anche in uno degli ultimi progetti: “I commedianti”.

Fedeltà al testo, soluzioni sceniche ed espressive originali, l’uso di maschere dalla fisionomia caratterizzante e un gran lavoro dell’attore. Mosse vincenti in “Finale di partita”, dove tutto il “materiale scenico”, sfocando nell’artificio, trova quella giusta distanza che permette al testo stesso di arrivare al pubblico in sala in modo nitido, accessibile.

Anche in questo caso l’atmosfera è cupa, e lo spazio converge in un ambiente-mondo chiuso, delimitato, dove cresce la tensione e si sviluppa l’inquietudine dei personaggi, come vuole la tradizione della compagnia: in Pinter era la stanza, in Bernard era lo spazio mentale, in Beckett è la scacchiera.

E’ qui che Hamm e Clov stanno. L’uno cieco e seduto sulla sedia a rotella, con la quale crea un corpo unico, e l’altro in piedi sul suo tronco di legno. Sono gli ultimi due pezzi rimasti sul tavolo da gioco, che qualcun altro muove: le mani e le voci di Giuliana dall’Ongaro ed Enrico Deotti – maschere-personaggi che giocano questa partita – li animano, facendoli muovere ora come piccoli burattini, ora spostandoli tra il bianco e nero del tavolo come pedine.

Al bordo della scacchiera ci sono invece Nagg e Nell, i genitori di Hamm, “storicamente” residenti in bidoni dell’immondizia. Simpatici scheletrini burtoniani, morti ma ancora affamati dentro ai loro bidoni, sono pronti a barattare un po’ della loro impossibile presenza con qualche dolce confettino di una scatola vuota da tempo.

Non ci sono soluzioni. Non c’è mossa vincente, né possibilità di ascolto. Hamm e Clov prendono tempo, ognuno a proprio modo; pongono domande, cercano risposte, e si ritrovano al punto di partenza: la fine. Un vicolo cieco. Non si vede niente e nessuno all’orizzonte, né da terra, né da mare. Nulla resta in piedi, nemmeno il cane di pezza, a cui manca una gamba. Scacco matto.

E’ una doppia partita. Tra le due pedine di legno e tra i due giocatori. Una myse en abyme. Una sintesi compressa collocata all’infinito, dove tutto è in buon equilibrio: movimento, voce, suono, luce, colori, buio, materia viva e oggetto. Ma nessuno ha veramente vinto, e nessuno ha veramente perso, questo si sa.

“La fine è nel principio e pure si rincomincia”, dice Hamm.  Nel finale della partita dove tutto è già “finito” – dato e terminato – fin dall’inizio, c’è l’accorgimento: cosa rimane delle due maschere, dei due pezzi di legno sopra la scacchiera, della messa in scena?
Il testo, Beckett, e tutto ha di nuovo inizio.

Finale di partita
di Samuel Beckett
diretto ed interpretato da Teatrino Giullare
traduzione di Carlo Fruttero
scenografia e pedine: Cicuska
maschere: Fratelli De Marchi
produzione: Teatrino Giullare

durata: 55’
applausi del pubblico: 2’ 08”

Visto a Spinea (Venezia), Teatrino Zero, il 17 novembre 2012

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