Sala Ichòs e il valore dei tre soldi

Noi e Brecht - Ichòs Zoe Teatro
Noi e Brecht - Ichòs Zoe Teatro
Noi e Brecht – Ichòs Zoe Teatro
Per un anno, il fotografo Peter Menzel ha deciso di viaggiare per il mondo e fotografare 30 famiglie di 24 paesi diversi, insieme al cibo che avrebbero consumato durante una tipica settimana, annotando quanto costava il cibo di ogni famiglia. Ne è venuto fuori uno straordinario documento, Hungry Planet: molti giornali ed enti specializzati nel tema dell’antropologia alimentare hanno dedicato alla pubblicazione e al corredo iconografico un grande rilievo. 
Cos’è necessario veramente? Esiste il teatro necessario? E’ un aggettivo di cui si fa molto uso, specie ora, ma dopo tanto girare mi sono fatto l’idea, un po’ come Menzel, che la necessità è un concetto assai relativo, che dipende molto dalle condizioni materiali del luogo in cui l’aggettivo è speso. D’altronde, che il teorema sia assolutamente relativo è assai facile da dimostrare proprio guardando alle foto di Menzel e riflettendo su cosa dichiarerebbe essere indispensabile una famiglia della media borghesia americana e cosa una famiglia di campesinos in Ecuador.
Fra Natale e Capodanno di fine 2011 ho raccolto un invito di Edgardo Bellini, benemerito fautore della beltà all’ombra del Vesuvio, ludologo e critico teatrale. Da tempo mi invitava a visitare un luogo secondo lui magico, a San Giovanni a Teduccio, periferia tardo industriale di Napoli, operaia, per certi versi proletaria, se ancora si può usare la parola senza essere guardati storto dai bacchettoni di turno, che ritengono certi termini inattuali, ancorchè secondo me descrivano in maniera adeguata numerose situazioni di vita nelle periferie metropolitane.

Gli amici di Sala Ichòs hanno fatto, in questa occasione, un po’ una pazzia, organizzando una serata evento fuori programma, per dare a noi la possibilità di testimoniare il loro essere necessari non solo a se stessi e al fare arte, ma al territorio, al circuito, al sentimento di essenzialità del pensiero teatro che in questo luogo si respira. Sarà forse per questo che Roberto Latini non manca mai di portare in questa saletta di ultra periferia i suoi spettacoli. Come pure loro stessi non mancano di ospitare giovani realtà del circondario, con tanta voglia di crescere ma pochi spazi per provare e mettersi alla prova.
Noi abbiamo assistito e video documentato il poetico e sudato “Baal”, parte del progetto “Noi e Brecht”, che ha portato in scena da novembre a gennaio “…Conversazioni…”, “Stazionaria”, “Baal” e, per concludere, “L’opera da tre soldi”, il vero affronto, l’assalto con la barchetta di carta al transatlantico milionario che in quegli stessi giorni, con lo stesso nome, solcava il palcoscenico dello stabile napoletano. Una differenza di budget ma anche di filosofia di fondo eclatante, con i 720 mila euro spesi per “L’opera da tre soldi” da Luca De Fusco, direttore artistico dello Stabile napoletano e del “Napoli Teatro Festival”, e quella tutta volontà, spiccioli e sudore del gruppo guidato da Salvatore Mattiello, per un teatro fatto di sperimentazione si, ma anche molto di studio, ricerca e tempi che non sono da industria ma da artigianato del teatro.
Salvatore, Peppe, Massimo e Giovanna, un percorso che li ha portati da essere artisti di strada a essere gli ideatori di uno degli angoli più rivoluzionari del fermento culturale partenopeo, nel piccolo spazio in via Principe di San Nicandro a San Giovanni. Di qui, in questa stagione, sono passati finora, oltre a Latini, Fibre Parallele, Tourbillon teatro, TeatrInGestazione, Teatro di Legno, AUeR e FrancaBattaglia, in un mix di esperienza e sostegno al territorio che è la cifra di un gruppo di persone che prova e porta in scena i propri spettacoli, in molti casi, in base ai turni in fabbrica di alcuni degli interpreti che fanno di questa esperienza non uno stanco dopolavoro, ma un respiro necessario, profondo e rovente come le braci del vulcano.
La stagione di quest’anno si chiamava,  forse non a caso, “Il dito nella piaga” e si concluderà a maggio, con il doppio lavoro del regista Pino Carbone “Barbablù” e “Il re muore”, in scena nella passata stagione teatrale al ridotto del Mercadante. 
Cosa è necessario veramente? Cosa serve per produrre teatro al giorno d’oggi? Alla fine dello spettacolo gli amici di Sala Ichòs hanno offerto un piccolo ristoro agli spettatori intervenuti. La sala era piena, la recita è stata profonda, sudata, vera, a tratti pasoliniana, con una scenografia tanto povera quanto geniale, e alcuni interpreti cui andrebbero date possibilità e speranze ancor più grandi, e ho pensato alle foto di Menzel, ai 720 mila euro, a cosa nel nostro tempo stiamo inesorabilmente buttando via senza darci il tempo di pensare. E a quanto è non romantico ma rivoluzionario, civile, morale tornare a fare opere con tre soldi. Que viva Ichòs!

 

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  1. says: Ichòs Zoe Teatro

    … che dire? bene! doppiamente bene! … rendere necessario il teatro alla vita delle persone rimane la nostra priorità … renderlo necessario, sì, ma senza mai rinunciare al piacere di farlo … senza mai smetterne la voglia …. senza mai smettere di pensare, di ritenere, di affermare che il teatro di Sala Ichòs sia un Teatro Opportuno … ringraziamo molto Renzo per aver riferito delle nostre attività e terremo molto caro questo suo documento intenso e vero …. e opportuno!