Il diario di Mariapia. Paravidino esorcizza il dolore

Fausto Paravidino ne Il diario di Maria Pia (photo: teatrofrancoparenti.it)
Fausto Paravidino ne Il diario di Maria Pia (photo: teatrofrancoparenti.it)
Fausto Paravidino ne Il diario di Maria Pia (photo: teatrofrancoparenti.it)

Portare in scena la morte non è mai un’operazione semplice, tanto più se l’addio che si vuole raccontare è così delicato e drammatico come la morte della madre.
Fausto Paravidino ci riesce senza pietismi, realizzando un quadro nitido con toni leggeri ma di grande spessore nella pièce “Il diario di Mariapia”, di cui è autore, attore e regista.

Lo spettacolo inizia con alcune scene da una commedia di Shakespeare “Tutto è bene quel che finisce bene”, a definire immediatamente come il teatro, e la sua componente metateatrale, sia un elemento di fondamentale importanza nell’economia della messinscena. L’attore alessandrino e Iris Fusetti, appena rientrati da un tour teatrale, vengono raggiunti dalla notizia dell’aggravarsi della malattia di Mariapia, madre di lui.
Paravidino si alterna nel ruolo di sé stesso, dello zio Cesare (fratello di Mariapia) e del neuropsichiatra; Monica Samassa nei panni di Mariapia mentre Iris Fusetti interpreta la compagna di Paravidino, oltre ai ruoli della sorella e della dottoressa che ha in cura la madre.

Si sviluppa un gioco teatrale che interagisce con il racconto affidato dalla morente Mariapia al proprio diario. Il suggerimento fornito da una dottoressa di tenere un diario durante la malattia si rivela un ottimo esercizio spirituale per congedarsi dalla vita. Scrivere di se stessi, in quelle condizioni, significa inevitabilmente scavare nel labirinto della mente. Ed ecco, allora, che proprio quando Mariapia, nel decorso della malattia, si sente schiacciata da un rullo compressore che sembra annullarne persino l’esistenza precedente al tumore, si risveglia la memoria dei sentimenti, delle sensazioni, degli episodi che hanno scandito la vita.

La narrazione sfiora momenti di poesia e non concede nulla al melodramma, perché a fare da contraltare c’è il misto di cinismo ed ironia che Paravidino, da narratore onnisciente, decide di utilizzare come chiave di lettura della vicenda. Forse un tentativo di esorcizzare un dolore o semplicemente una soluzione drammaturgica che evita di scivolare nel patetico o nel morboso.

L’autore porta in scena “la rappresentazione oscena del nulla e del biografismo con un gioco teatrale lieve ma per niente spensierato”, come afferma nelle note di regia. Merito sicuramente di un lavoro di regia solido e ben costruito, della scelta di organizzare lo spazio scenico con una costruzione di geometria lineare: una sedia occupa lo spazio centrale, la sedia dell’immobilità, dove Monica Samassa colloca la sua Mariapia, di fronte a lei due sedie speculari oblique che si pongono in suo ascolto, sullo sfondo scorrono proiezioni con immagini vere della protagonista.
Deboli invece, a nostro avviso, le fasi finali della narrazione quando, dopo aver condotto per più di un’ora un racconto asciutto e lineare, si cede in maniera eccessiva al prolisso e il ritmo cala.

Ottima l’interpretazione delle protagoniste femminili: dalla versatile Iris Fusetti, che dà prova di possedere notevoli tempi comici, all’intensa interpretazione di Monica Sammassa.
Discorso a parte per Paravidino. Il drammaturgo alessandrino, in questa occasione, pare più abile nella regia rivelando invece, nel lavoro attoriale, e in particolare quando interpreta sé stesso, un eccessivo narcisismo: da un vago autocompiacimento durante la narrazione di episodi che lo riguardano in prima persona ad una certa ostinazione nel portare sulla scena sempre e solo sé, anche quando, di volta in volta, un paio di baffi, un camice bianco e un tono di voce camuffato indicano la presenza di altri personaggi della vita di Mariapia.

Il diario di Mariapia
testo e regia: Fausto Paravidino
con Monica Samassa, Iris Fusetti, Fausto Paravidino
produzione: Fondazione Teatro Regionale Alessandrino

durata: 1h 38′ (da scheda spettacolo)
applausi del pubblico: 3′

Visto a Milano, Teatro Franco Parenti, il 12 ottobre 2012

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