“Il futuro del teatro sta nell’educazione dei pedagoghi”. Parola di Anatolij Vasil’ev

Anatolij Vasil’ev
Anatolij Vasil’ev
Anatolij Vasil’ev (photo: fondazionedivenezia.org)
Anche i maestri vanno a scuola. Ma in questo caso la scuola si trova nell’Isola della Pedagogia, a Venezia.
È stata soprannominata così l’isola della Giudecca – la cosiddetta “Spinalonga” che segue a cucchiaino la riva sud di Venezia – che, all’interno delle stanze dell’ex Convento dei SS. Cosma e Damiano, dal 2010 a oggi ha ospitato le tre sessioni di lavoro del corso di “Pedagogia della Scena”.

Ma sia chiaro, non si tratta di pedagogia qualsiasi. Lo ha chiarito, con tutta la sua autorità e autorevolezza, Anatolij Vasil’ev.  È infatti alla sua esperienza di maestro riconosciuto che è stata affidata la trasmissione del sapere teatrale al gruppo di lavoro di questo corso.

Con riverenziale timore, gli abbiamo rubato qualche battuta poco prima dell’apertura al pubblico dell’ultima lezione dell’anno accademico.
«Questo è un corso che ha una certa direzione – ci spiega – La pedagogia è parte del lavoro del regista in ogni caso. La mia professione è il regista, e come tale agisco sempre come pedagogo. Ma in questo caso non stiamo parlando di regia, ma parliamo solo di pedagogia. Questo è un corso di formazione ed educazione per pedagoghi, per educare dei pedagoghi a educare, a loro volta, anche attori e registi».

“Pedagogia della scena” è un percorso formativo a tappe durato tre anni che ha coinvolto educatori, registi, attori, provenienti non solo dall’Italia ma anche da Israele, Russia, Spagna, Romania, Stati Uniti. Un progetto internazionale ideato da Maurizio Schmidt e Cristina Palumbo, con l’importante e necessario sostegno organizzativo da parte di Euterpe-Fondazione di Venezia e la Scuola d’arte drammatica Paolo Grassi.

«La formazione è importante per la vita del teatro – continua Vasil’ev – Potrebbero pensare che sono pazzo, uno un po’ strano, ma non è così. Al momento attuale penso che sia in Europa che in Russia i problemi siano gli stessi. La formazione sta diventando il problema numero uno. Tra l’educazione del regista, l’educazione dell’attore e l’educazione dei pedagoghi, quella che può garantire un futuro al teatro è sicuramente l’educazione dei pedagoghi».

Ripartire dalle fondamenta, quindi, per evitare che gli allievi siano le cavie di un processo di autoapprendimento di futuri maestri, e per restituire valore e spessore all’arte del teatro, mettendo in moto una azione di cambiamento del sistema attraverso la riqualificazione generazionale.

Dal 2006, ossia da quando non sta più in Russia, Anatolij Vasil’ev si occupa con continuità di pedagogia in Europa. Ma la duplice attività di regista e pedagogo inizia ben prima, negli anni Sessanta. Dopo la formazione in regia al Gitis (Istituto Statale di Arte Teatrale) come allievo di Marija Knebel – allieva a sua volta di Stanislavkij e M. Cechov – e di Andrej Popov, viene invitato come regista al Teatro D’Arte di Mosca, mentre grazie a Popov entra nello staff del Teatro Stanislavskij. Nel 1981 è chiamato a collaborare con il Teatro Taganka diretto da Jurij Ljubimov, e subito dopo affianca Antolij Efros nella direzione di un corso di regia al Gitis. E’ il 1987 quando il Soviet di Mosca apre per Vasil’ev un nuovo teatro, che lui chiamerà Scuola d’Arte Drammatica.

Durante questi anni di lavoro, nei passaggi generazionali, cos’è che secondo Vasil’ev è andato perso?
«La formazione ha perso la sua caratteristica principale: la qualificazione. Oggi, in Italia come nel resto d’Europa, la formazione è diventata superficiale, troppo veloce, una formazione espressa per tutti; non seleziona più le persone che sono determinate, che sono adatte a questo tipo di professione. Questo nel teatro è assolutamente necessario. Fondamentale. Adesso la formazione teatrale è aperta ad una larga massa di popolazione. E quindi, come il resto della formazione, ha questo tipo di qualificazione: una qualificazione di massa. Questo è una catastrofe. Il teatro non è una facoltà umanistica, ma una facoltà speciale!».

Ricerca e studio dell’oggetto drammatico, studio dell’azione, lavorare a comporre e organizzare l’azione, lavorare alla libera formazione del “materiale” scenico (sempre però attraverso una azione strutturata) sono alcuni dei punti cardine su cui ruota il “metodo degli etjud”, la tecnica che Vasil’ev applica nei suoi corsi.
Etjud è qualcosa che può esserci o non esserci, tutto avviene quando l’attore entra in scena. Il metodo combina assieme l’analisi del testo e la pratica dell’improvvisazione attraverso “azioni interiori” che permettono all’attore di fare proprio il senso del testo e di recitare improvvisando, dando spazio alla propria immaginazione. E’ una tecnica che normalmente si fa a porte chiuse, ma che il maestro ha deciso di aprire al pubblico per la necessità di un confronto diretto e immediato.
I 40 allievi-pedagoghi che hanno partecipato al corso hanno affrontato due fasi di lavoro diverse: le strutture psicologiche attraverso i testi di Cechov, e le strutture ludiche e miste attraverso il testi di Platone e Pirandello. Per la terza e ultima fase sono stati invece selezionati 14 pedagoghi e 20 attori, che attraverso “Le Novelle” pirandelliane hanno portato a compimento il percorso mettendo in pratica il metodo di Vasil’ev. Alcuni di loro continueranno poi a seguire il regista nella sua nuova creazione su “Vestire gli ignudi” di Pirandello, in scena a Wroclaw in occasione del premio Europa.

In conclusione, chiediamo al Maestro, che caratteristiche devono avere un buon pedagogo e un buon allievo? «Un attore deve avere talento e un buon pedagogo deve avere pazienza – ci risponde – Il talento ha bisogno di pazienza e ogni giorno bisogna educarlo professionalmente. Perché se il talento non è rafforzato da un allenamento professionale, da una abitudine professionale, distrugge la persona. Distrugge una persona, appunto, di talento. Questo è quello che ho osservato in tutta la mia vita professionale, che dura già da 45 anni. Non intendo che un pedagogo debba amare per forza i suoi allievi. In realtà bisogna amare tutti gli essere umani. Ho intrapreso questa strada con tutta la pazienza che possiedo. Avere pazienza è un atto eroico, ma solo una persona così può educare le altre persone».

Il progetto “Pedagogia della scena”, preso come esempio dall’Arta di Parigi, che ha proposto un corso con le stesse caratteristiche, è ora in stand-by. Le idee, i nuovi programmi e le richieste per proseguire già ci sono, ma la Fondazione di Venezia, che sembra intenzionata a fare marcia indietro anche sull’importante progetto Giovani a Teatro, tergiversa. Rimaniamo così in attesa di sapere se l’Isola della Pedagogia continuerà ad essere un punto fermo tra la terra e il mare o se, abbandonata, tornerà isola deserta come tante.
 

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  1. says: GAETANO

    LE SCIENZE SOCIALI, ECONOMICHE HANNO ESPULSO, PER LA PRESUNTA EFFICIENZA ORGANIZZATIVA E PER L’UTILITARISMO PRODUTTIVO E ACCUMULATIVO, LA PEDAGOGIA FUORI DAL SISTEMA EDUCATIVO E SCOLASTICO E FUORI DALLA VITA E DALLA CULTURA. L’ESITO: LA/ LE CRISI CHE VIVIAMO. IN QUESTI ULTIMI DECENNI L’ARGOMENTARE PEDAGOGICO ERA ED E’ UN PARLARE DA SUB CULTURA ANACRONISTICA NEI TEMPI DELLA GLOBALITA’ E DELLA TECNOLOGIA.
    FINALMENTE UNA PEDAGOGIA CHE RITORNA IN SCENA COME AZIONE RESPONSABILE NEL TEATRO E NELLA VITA. FORSE C’E’ ANCORA SPERANZA.