Per sentirsi meglio. Luca Ricci e la sfida di Kilowatt

Preparativi in corso per Kilowatt|Luca Ricci
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Luca Ricci
Luca Ricci

A pochi giorni dall’inizio della 12^ edizione del festival (dal 19 al 26 luglio a San Sepolcro), abbiamo intervistato Luca Ricci, direttore artistico di Kilowatt. Un’occasione per parlare di teatro ma anche dei vari progetti che di anno in anno vengono portati avanti, rappresentando un robusto investimento di tempo ed energie per costruire un percorso di crescita che coinvolga il maggior numero di persone sul territorio.

Partiamo allora dalle attività collaterali – mostre, presentazioni di libri, incontri e dibattiti – che accompagneranno questa dodicesima edizione di Kilowatt…
Mi fa piacere partire da qui, perché tengo molto a questa parte del programma. Noi siamo fortemente orientati a costruire un progetto multidisciplinare, e per questo non consideriamo “collaterale” alcuna attività, se non per praticità di definizione.
Parto da Kilow’Art, la nostra sezione di arti visive, curata da Saverio Verini, che quest’anno realizzerà un’opera site-specific e community specific ideata da due giovani artisti, Lorenzo Cianchi e Michele Tajariol. Abbiamo fatto un bando, hanno risposto 40 artisti visivi italiani, ciascuno con uno specifico progetto pensato per Sansepolcro. Abbiamo formato un gruppo di 30 cittadini (che non sono i nostri Visionari, ma un altro gruppo ancora) e loro hanno scelto il progetto che li interessava di più. Cianchi e Tajariol sono a Sansepolcro da 20 giorni e ci resteranno fino alla fine del festival per costruire il loro progetto, che riguarda una serie di dodici edicole sacre, disposte nelle vie principali della città, che ridefiniscono con un occhio contemporaneo quelli che sono oggi, per i cittadini di Sansepolcro, i concetti di sacro e sacralità. Più di 100 persone sono coinvolte nel progetto, che verrà inaugurato con una performance dal vivo il primo giorno di festival, il 19 luglio. Poi le edicole entreranno a far parte della collezione del Museo Civico, per costruire, di anno in anno, una collezione dedicata ai linguaggi del contemporaneo.

Sempre al di fuori degli spettacoli teatrali e di danza, segnalo l’incontro sulla nuova drammaturgia con il regista Gabriele Vacis e con lo scrittore Christian Raimo, che analizzeranno il perché chi scrive per il teatro sia spesso lasciato fuori dal dibattito culturale in corso nel Paese.
E poi il laboratorio di fotografia per la scena di Futura Tittaferrante, la presentazione del meeting IETM che si terrà a Bergamo nel 2015, Gerardo Guccini che intervisterà il grande organizzatore Andrés Neumann sugli incontri professionali della sua vita (da Pina Bausch e Peter Brook, passando per Tadeusz Kantor), e la consegna del V Premio Kilowatt-Titivillus che quest’anno va a Massimo Betti Merlin, direttore del Teatro della Caduta di Torino.

Nella costruzione del festival emerge chiaramente, ed è anche dichiarata, la precisa volontà di un’apertura verso nuove fasce di spettatori. Un argomento importante e che non caratterizza tutte le rassegne di teatro e danza…
Se dovessi individuare la mission di Kilowatt, ti direi che è proprio questa. A noi non è mai interessato fare un festival “fighetto”, per una ristretta nicchia di eletti. Per noi la sfida è il mare aperto, cioè portare i linguaggi dello spettacolo nel contesto sociale di cui sono parte. Più di ogni altra cosa noi facciamo un festival per quelli che non sono ancora spettatori.

Preparativi in corso per Kilowatt
Preparativi in corso per Kilowatt, che parte sabato

Perché hai scelto come titolo “Per sentirsi meglio”?
Ci piaceva il doppio, triplice, quadruplice senso della parola “sentire”. Che da un lato ha a che fare con l’udito, ma anche col gusto (come sinonimo di assaggiare), col tatto, con l’olfatto, insomma, con una pluralità di sensi che possono rimandano all’idea di un festival che sollecita sensazioni su più livelli percettivi. Dall’altro lato, l’espressione “sentirsi meglio” rimanda al benessere, a una visione di se stessi e del proprio tempo che vuole farsi meno cupa: la nostra sensazione è che sia in atto un forte mutamento delle estetiche; che dalle temperature oscure che hanno caratterizzato gli anni Novanta e Duemila, la creatività degli artisti stia dirigendosi ora verso una maggiore voglia di esserci, di resistere, di combattere, di riprendere insomma un ruolo attivo. Non dico che questa tendenza sia consolidata. Tutt’altro. Ma come spesso accade, si sceglie di lanciare un messaggio anche perché si ha voglia di crederci, al di là delle evidenze più immediate. Se l’arte deve farci vedere oltre quello che già vediamo, chi programma l’arte (e dunque anche un festival) deve tentare di trasformare le proprie speranze in inviti all’azione.

Veniamo ai nove spettacoli scelti quest’anno dai Visionari… Cosa ci puoi anticipare?
I nostri Visionari – il gruppo di 30 cittadini di Sansepolcro che, tramite la visione di oltre 200 dvd,  hanno passato l’inverno a selezionare nove spettacoli da presentare al festival – continuano a compiere scelte potenti e anticonformiste. Questo mi piace di loro: che non sono sottomessi ad alcuna consorteria o legame col mondo teatrale o coreografico, e dunque scelgono in totale autonomia. Molto più di quello che potrei fare io come direttore artistico, perché io sono comunque parte dei riti, delle amicizie e delle conoscenze di questo mondo.
Grazie ai Visionari si vedono a Kilowatt spettacoli che non si vedono in nessun altro festival. E il più delle volte i Visionari anticipano tendenze e scoperte alle quali il mondo teatrale o quello coreografico poi arrivano, ma con calma…
Come di consueto, anche quest’anno tra i nove spettacoli scelti ce ne sono alcuni che ho amato moltissimo, ma ce ne sono almeno due, forse tre che, dalla visione in dvd, mi convincono poco e non avrei mai scelto. Però sono pronto a farmi stupire. In passato è accaduto più di una volta che spettacoli che avevo detestato si rivelassero poi forti, profondi, interessanti. Cito spesso come caso estremo lo straordinario “Ubu Re” della Compagnia degli Scarti contro il quale, contrariamente a quel che faccio di solito, mi ero permesso di mettere in guardia i Visionari. E invece avevano ragione loro: in vita mia ne ho visti una dozzina di “Ubu Re”, alcuni di artisti e compagnie ben più celebri degli Scarti, eppure in nessuno ho ritrovato l’energia e la lucida follia ubuesca di quello!

Per quanto riguarda gli spettacoli che hai scelto di ospitare, si articolano in tre macrotemi: Analisi politico-sociale, Ricerche formali e indagine del corpo, Autobiografia e senso del vivere. Come è nata questa ‘tripartizione’?
Partiamo da un numero generale: il programma del festival prevede 29 spettacoli in scena, in otto giorni.
Per quanto riguarda l’analisi sociale ci sono molti spettacoli che affrontano, con gli strumenti del teatro (che non sono quelli del giornalismo), temi forti della nostra attualità: César Brie cura la regia di uno spettacolo legato all’eutanasia, con forti riferimenti alla storia di Eluana Englaro; Federica Santoro e Marco Gobetti raccontano le vicende reali di una coppia no-Tav; Tindaro Granata parla di pedofilia, tra l’altro affrontando una vicenda che nella realtà è accaduta a Sansepolcro; Valerio Malorni racconta della fuga dei cervelli, e potrei andare avanti…
Le ricerche formali e l’analisi del corpo sono legate agli otto spettacoli di danza: il debutto di un nuovo lavoro di Balletto Civile, la seconda uscita nazionale di 7-8 chili, la prima nazionale di un nuovo talento della danza, Martina Francone, e poi i lavori di Giorgia Nardin, Claudia Catarzi, C&C (reduci da una doppia vittoria in due contest europei molto prestigiosi), Irene Russolillo, Cani.
Quanto all’autobiografia penso al commovente spettacolo di Dionisi / Arianna Scommegna sulle periferie milanesi, ma anche all’insieme del progetto “Sei pezzi facili”, curato da Michele Corgnoli, per il quale coinvolgiamo musicisti del calibro di Paolo Benvegnù, Massimo Bubola o Marco Parente, chiedendo loro di non proporci il loro solito concerto, ma di selezionare sei canzoni che sono state la colonna sonora della loro vita e accompagnare l’esecuzione di ciascuna con un testo autobiografico.

All’interno del festival c’è anche il quarto appuntamento con il Centro della visione, che vede ospite Claudio Morganti. Abbiamo parlato di questa iniziativa anche in un’intervista a Piergiorgio Giacchè. Ti senti di fare un primo bilancio del progetto?

Il bilancio ha luci e ombre. In questo primo anno (l’attività è partita a dicembre 2013) il progetto non ha funzionato molto per quanto riguarda il numero degli iscritti, che sono stati una decina per ciascuno dei quattro moduli. Non è stato un disastro, ma poteva andar meglio. Per contro però, dal punto di vista contenutistico, la proposta è stata straordinariamente stimolante. La conduzione di Giacchè è sempre stata di grande competenza e profondità; gli ospiti che a ogni appuntamento hanno presentato i loro spettacoli e poi interagito con gli iscritti sono stati disponibili e di riconosciuto prestigio: dai Pathosformel a Mario Perrotta, da Morganti a Laura Curino, passando per le incursioni teoriche di Stefano Rulli, Giancarlo Gaeta, Stefano Laffi e Raniero Regni.

Perché secondo te, anche rispetto ai legami già forti che avete col territorio, non sono accorse folle di partecipanti?
Stiamo cercando di proporre una sfida nuova: ha senso mettersi a studiare per essere uno spettatore migliore? In un’epoca in cui tutti vogliono essere protagonisti di qualcosa, noi ci rendiamo conto che la nostra proposta è strana. Studiare per mettersi in ascolto di qualcun’altro… Suona male, vero? Certo, se avessimo fatto un laboratorio per attori con Perrotta, o Morganti, o la Curino, sarebbero accorsi numerosi aspiranti attori. Così, invece, le persone fanno fatica a comprendere cosa stiamo offrendo loro. Eppure credo che la nostra sfida sia proprio quella di formare spettatori più consapevoli ed evoluti. Dunque non ci arrendiamo, e andiamo avanti, sperando che anche qualche lettore di KLP si incuriosisca e venga a Sansepolcro per seguire le giornate con Morganti e Giacché, dal 21 al 23 luglio prossimi.

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