Tindaro Granata e la pedofilia. Negli abissi dell’orrore umano

Invidiatemi - Tindaro Granata
Invidiatemi - Tindaro Granata
Tindaro Granata in Invidiatemi (photo: elfo.org)
Il titolo (“Invidiatemi come io ho invidiato voi”) può sembrare fuorviante. Cosa c’entra l’invidia con un caso di pedofilia finito in tragedia?
C’entra, eccome, secondo Tindaro Granata che, nel portare in scena un terribile fatto di cronaca nera risalente a una decina di anni fa, rintraccia nel sentimento di invidia, a sua volta generato dalla solitudine e dall’egoismo, la chiave di volta per interpretare il degrado umano alla base della vicenda. E non solo.

Perché l’indagine che il giovane autore e regista siciliano compie in questo spettacolo, fino a domenica all’Elfo Puccini di Milano dopo il debutto dell’estate scorsa al Festival delle Colline Torinesi, si estende all’intera società, che pare macchiata di un male oscuro che fonda le sue radici nella malevolenza e nell’insoddisfazione.

Dopo il felicissimo esordio di “Antropolaroid”, saga familiare costruita reinterpretando il modello originario del cunto siciliano, Granata conferma la sua vocazione alla narrazione popolare, anche se stavolta in scena non è da solo.
Nel suo ultimo lavoro si immerge nella realtà disagiata di una famiglia di bassa estrazione sociale. Ma con un approccio totalmente diverso.

Se in “Antropolaroid” le violenze narrate, tra cui anche qui un lieve accenno ad un abuso su un minore, sembravano trovare una sorta di giustificazione perché rientranti in un sistema rurale in cui anche gli istinti umani, come quelli animali, sono regolati dalle leggi della natura, in “Invidiatemi” questa innocenza si perde del tutto. E l’ignoranza diventa colpa, senza alcuna attenuante.

Grazie a una scrittura drammaturgica accurata, e basata sulle testimonianze contenute negli atti processuali – ma di questo ci rendiamo conto pressoché alla fine – si viene introdotti nella vicenda in punta di piedi.

Siamo in un piccolo rione dove si fa tanto vociare su una certa Angela. C’è chi prende le sue difese, chi la accusa. Di cosa? Non si capisce bene. Ciò che emerge dal chiacchiericcio di vicine di casa impiccione, cognate astiose, mariti impotenti, madri protettive, amanti aitanti è la frivolezza di una donna ostinata a volersi concedere lussi che la sua condizione economica non le permette di soddisfare. Vestiti di boutique, parrucchiere, estetista. Una donna disposta a tutto pur di fare la vita da signora e di suscitare le invidie altrui, dopo aver tanto invidiato.

Il racconto – fin qui contornato anche da inserti comici – esplode dopo, con i dettagli che emergono in modo esplicito ed agghiacciante. Le accuse nei confronti di Angela si fanno ben più gravi, perché scopriamo che è colpevole di aver accettato e favorito gli abusi sessuali sulla sua bambina – che ne è morta – da parte del suo amante.

L’apice del dramma viene più volte raggiunto nel finale, e si potrebbe pensare di ridurre lo spettacolo di una buona decina di minuti; ma al di là di questo, il lavoro è pressoché ineccepibile nella sua messa in scena e nel suo intento esplicitamente “didattico”. Granata vuole mostrarci come dietro alcuni drammi non si nasconda soltanto l’agire di una mente disturbata ma tutto un sistema di corruzione sociale e morale (tutti i protagonisti si macchiano di colpe, più o meno gravi) a suo supporto.    

E’ su un altro livello quindi che vien da chiedersi se valesse la pena investire tanto nel rievocare questo orribile caso giudiziario.
Lo spettacolo fa il pieno di applausi, totalmente meritati. Eppure si esce dalla sala con una sensazione di lieve delusione. Sarà forse “colpa” del candore poetico cui “Antropolaroid” ci aveva abituato, così da farci attendere una seconda prova che facesse riassaporare quel lirismo che talvolta solo le cose semplici riescono a raggiungere.

Invidiatemi come io ho invidiato voi

scritto e diretto da Tindaro Granata
scene e costumi: Eliana Borgonovo
elaborazioni musicali: Marcello Gori
con: Tindaro Granata, Mariangela Granelli, Paolo Li Volsi, Bianca Pesce, Francesca Porrini, Giorgia Senesi
voce fuori campo: Elena Arcuri
disegno luci: Matteo Crespi
produzione: BIBOteatro e Proxima Res

durata: 90’’
applausi del pubblico: 3’ 20’’

Visto a Milano, Teatro Elfo Puccini, il 18 febbraio 2014


 

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4 Comments

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  1. says: Erika Seghetti

    Penso anch’io che i dettagli, seppur agghiaccianti, fossero necessari. E poi non bisogna dimenticare che il lavoro è comunque ispirato a un caso giudiziario e che la scrittura drammaturgica è basata sugli atti processuali. Infatti, questo per rispondere a Modesto sul perché “trasformare il marito in una macchietta”, Granata è stato in realtà molto fedele all’originale. Il “vero marito” è molto ma molto simile alla macchietta che ne fa Granata.

  2. says: Mario bianchi

    Modesto non sono d’accordo sulle critiche che hai fatto su come Tindaro Granata ha descritto lo stupro, proprio perchè solo per lo stupratore la bambina è stata importante e non per gli altri, la descrizione minuziosa di quello che è avvenuto è un ‘invenzione teatrale vera e propria, necessaria per la giusta comprensione dello spettacolo.

  3. says: Fides

    Momenti sublimi, ma..
    Due appunti: perché trasformare il marito in una macchietta?
    Perché insistere, verso il finale, sui dettagli dello stupro? Un autore dovrebbe sempre ricordare Alessandro Manzoni. Come descrive il momento fatale che porterà all’atto sessuale? “La sventurata rispose”.