Le storie si raccontano in cerchio. Pier Lorenzo Pisano e Carbonio: intervista

Carbonio (ph: Masiar Pasquali)
Carbonio (ph: Masiar Pasquali)

Il debutto di Carbonio, nuova produzione del Piccolo Teatro di Milano, in coproduzione con il Bellini di Napoli, ci racconta l’incontro ravvicinato con un essere alieno

Siamo al Piccolo Teatro di Milano per il debutto di “Carbonio” di Pier Lorenzo Pisano, testo che ha vinto il Premio Riccione nel 2021, il più importante premio per la drammaturgia del nostro Paese. Un premio che viene da lontano: i testi di Pisano, che è anche regista e autore di cinema, sono tradotti in dodici lingue e hanno ricevuto diversi altri premi dal Solinas al Premio Hystrio. E nel 2021 è uscito anche il suo primo romanzo, “Il buio non fa paura”.

In “Carbonio”, racchiusi in uno spazio circolare avvolto da una rete semi trasparente che arriva sino al soffitto creando un ambiente asettico, una donna, forse una scienziata (Federica Fracassi), interroga un uomo (Mario Pirrello) che si è trovato davanti ad un alieno, come testimoniano numerose fotografie e video. Un alieno, questo è certo, che non ha dentro di sé nemmeno un grammo di carbonio, elemento comune di tutte le creature della Terra.
Attraverso un confronto serrato, composto da continue domande e dalla richiesta di dover raccontare ogni dettaglio di quell’incontro, si instaura un meccanismo di dipendenza mutevole e foriero di significati, che il continuo muoversi delle posizioni dei due personaggi rende visibile.

L’interrogatorio è spesso interrotto da Pisano, anche regista dello spettacolo, che ricorda in modo ironico, anche con immagini, come le sonde Voyager lanciate alla periferia del sistema solare contenessero il Voyager Golden Disk, un disco con suoni e immagini selezionati per portare le diverse lingue e culture terrestri alla conoscenza di eventuali forme di vita aliene.
L’uomo risponde a volte spazientendosi per il continuo assillo della donna, altre confessando di aver provato un senso di disorientamento davanti all’alieno, a volte ancora commuovendosi, ricordando la morte della piccola figlia, avvenuta in un incidente da lui stesso causato.
La donna piano piano intuisce che l’alieno, attraverso quell’uomo, ha avuto la possibilità in qualche modo di iniettare anche in lei la capacità di modificare la realtà: ne rimane coinvolta e atterrita, e uscito di scena “l’altro”, afferrando quel disco in cui è stato immerso tutto il cammino dell’umanità, con tutte le sue bellezze e fragilità, si lascia andare alla nostalgia verso tutto quello che sta perdendo e che la vita le ha offerto.

Abbiamo cercato di approfondire i significati di questa singolare messa in scena con Pier Lorenzo Pisano, attore, regista e autore di “Carbonio”.

In che senso lo spettacolo “inquadra il conflitto tra cura dell’interesse collettivo e felicità personale”?
“Carbonio” è la storia del primo incontro tra un umano e una forma di vita aliena, cioè qualcosa che è altro da noi per definizione. E proprio nell’incontro con il totalmente diverso – che non è indagabile – rivolgiamo lo sguardo verso di noi. Così nello spettacolo: la donna incaricata di verificare l’accaduto chiede all’uomo come si sente, cosa gli è successo, che effetti avrà quest’incontro su di lui. Lentamente emerge, nel corso della storia, un ricordo doloroso dal passato dell’uomo, un qualcosa di sepolto, e soprattutto emerge una possibilità nuova: la possibilità di una scelta. Questo incontro ravvicinato ha avuto un effetto concreto, gli ha dato la possibilità di fare una scelta. E in questa scelta si esplicherà il conflitto tra l’interesse collettivo e la felicità personale.
C’è anche un altro livello in cui si possono leggere queste due dimensioni, cioè nei due binari principali del racconto. Da un lato c’è questo dialogo, il livello personale – uno a uno – dell’interrogatorio. Dall’altro il livello collettivo, rivolto al pubblico: il commento delle immagini mandate in orbita sulla sonda Voyager. Sono una raccolta di foto scelte dalla NASA negli anni ‘70 e spedite nello spazio profondo, incise sul Voyager Golden Disk come testimonianza della razza umana verso ipotetici alieni. È stata un’operazione senza precedenti, che ha anche significato un esercizio mentale inaudito: come possiamo rappresentarci, collettivamente in quanto umanità, ad un osservatore esterno per il quale potremo risultare incomprensibili?

I protagonisti di Carbonio
I protagonisti di Carbonio

Come ti muovi quando devi rapportare un testo con la regia? 
Prima di tutto immagino uno spazio. Sono partito dall’idea del cerchio, per collegarmi al tondo del disco Voyager, per sfruttare al meglio la natura del Teatro Studio, e per richiamare l’idea di un cerchio intorno al fuoco; in effetti si tratta di spiare un dialogo serrato tra due persone, e le domande che pone la donna all’uomo riguardo all’alieno sono quelle che vorremmo fargli noi: com’è stato? Cosa hai visto? Cosa ricordi?… Una serie di cerchi concentrici attirano la nostra attenzione verso il centro, il cuore del dialogo.
E poi esiste una dimensione esterna, folle e sghemba, che spazia per tutto il teatro, che è quella del commento alle immagini del Voyager.
Poi, una volta individuato lo spazio, bisogna negoziarlo con i corpi degli attori, e con le parole del testo. Il lavoro con Federica Fracassi e Mario Pirrello è stato molto bello. Hanno lavorato sui loro personaggi approcciandosi in modo creativo ed originale, rendendo tutto più profondo e rinforzando le fondamenta del testo e dello spettacolo.

Il rapporto tra un evento doloroso del passato del protagonista con la figura dell’alieno lascia aperti diversi significati. O ce ne è uno in particolare che hai voluto soprattutto sottolineare?
L’incontro genera un potere: la possibilità di cambiare qualcosa del proprio passato, ma ad un costo elevatissimo per il resto dell’umanità. Questo è al livello di trama, ma ci sono molte altre possibilità di lettura.
C’è una riflessione molto presente su quale sia il senso del narrare. La prima battuta del testo è “Racconta”. È come se i due protagonisti svolgessero un ruolo maieutico nei confronti della storia. I loro sforzi congiunti per ricreare quell’evento traumatico mettono in scena davanti allo spettatore quello che è a tutti gli effetti un processo creativo. La storia, distrutta, si ricostruisce davanti ai loro occhi. Il rapporto tra il passato dell’uomo e l’incontro alieno avvenuto nel presente non è un qualcosa di evidente fin dall’inizio, è creato dal dialogo dei personaggi. E interpretando lo spettacolo da questo punto di vista, la possibilità di cambiare il nostro passato è proprio la possibilità di dare un senso alle cose che offre la narrazione. La narrazione è la possibilità di una cura. Creare una storia, cioè dare ad un evento casuale un inizio, uno svolgimento ed una fine, è consolante. E sperare che poi il mondo si adegui alla storia che abbiamo raccontato, è una possibilità aliena, lontana, ma commovente. Ed è tutto quello che possiamo fare per sopravvivere al dolore.

Torniamo ai cerchi, figura ricorrente, a partire da quello che avvolge i protagonisti.
Ci sono una serie di cerchi, da quelli strutturali del teatro, fino ad arrivare al centro della scena. Richiamano il tema di cui sopra: le storie si raccontano in cerchio. Ci sono anche piccoli dettagli, ad esempio la luce rotante intorno ai personaggi ricostruisce, nel corso dello spettacolo, con i suoi spostamenti, il codice binario circolare inciso sul fronte del Voyager Golden Disk. È una delle istruzioni incise sopra il disco su come usarlo. È interessante perché si ricollega ad un altro tema dello spettacolo, che è la necessità di dare senso alle cose. C’è un senso ad esempio a questi spostamenti? Certo. Ma il fatto che non sia immediatamente accessibile, fa sì che la nostra mente si scateni nel cercare tutti gli altri possibili significati. E spesso, anche le altre spiegazioni che ci diamo, finiscono per essere plausibili e diventare vere.

Come vedi il futuro di noi umani composti di carbonio?
Non saprei. Non sembra un buon momento. Nello spettacolo c’è una risposta anche a questo. I personaggi discutono della “Scala di Kardašëv”. È una classificazione ipotetica dei gradi di sviluppo delle civiltà in base al consumo di energia, da 1 a 3. Più una civiltà è avanzata, più necessita energia. Ad esempio, le civiltà di grado 1 sono quelle che sfruttano completamente le energie del loro pianeta d’origine. Quelle di grado 2 sfruttano tutta l’energia della loro stella d’origine e via così. Noi siamo grado 0. Non siamo nemmeno dentro ad una scala che abbiamo inventato noi. Siamo dipendenti da combustibili fossili, e gestiamo malamente le poche risorse che siamo in grado di sfruttare. Però abbiamo tanta fantasia, nel bene e nel male, e finora ce la siamo sempre cavata. Credo che sia necessario mantenere un equilibrio: essere troppo fatalisti è un atteggiamento non costruttivo, negare l’evidenza è criminale.

Quali sono i tuoi disegni futuri?
Sto scrivendo e sviluppando tanti progetti per tanti media diversi. Sono napoletano, quindi per scaramanzia evitiamo di dire troppo!

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