East. Fanny & Alexander nel destino dell’Uomo di latta

East - Fanny & Alexander
East - Fanny & Alexander
East – Fanny & Alexander (photo: contemporaneafestival.it)
Fanny & Alexander ci lanciano una sfida allo spazio K di Prato con “East”, spettacolo che risale al 2008 e fa parte del più ampio “OZ project”, che ha impegnato il gruppo ravennate dal 2007 al 2010 ed è basato sulla storia del celebre romanzo di F. L. Baum “Il meraviglioso mago di Oz”.
Dopo aver visto le altre tappe del progetto, seguiamo “East” all’interno della X edizione di Contemporanea, il festival che inaugura la nuova stagione del Metastasio, e che quest’anno è incentrato sul rapporto tra psiche e fisicità.

Lo spazio scenico è una scatola nera, quasi vuota. Pochi dettagli si staccano da questo nero uniforme: verso il fondo due ventilatori a soffitto, quattro fari ci fronteggiano, così come l’immagine di Oz-Hitler (Him), il mago dittatore che compare in altri spettacoli del progetto e che fra poco si illuminerà. Più avanti, quasi sul proscenio, un grande baule scuro a sinistra, a destra un piccolo impianto stereo.

Un uomo biondo e dall’aspetto delicato ci guarda e aspetta, seduto sul baule, mentre prendiamo posto in sala. I suoi vestiti ricordano quelli di un militare, forse un marine.

Quando le luci si spengono, un fascio di luce fredda si getta su di lui e su una musica, una pulsazione ritmica martellante. Oz-Hitler comincia a parlare. Chiede all’uomo di raccontargli la sua storia, ma in realtà è lui, Oz, a dettargliela. L’uomo dà la sensazione di essere inerme, una cavia da laboratorio presa in trappola. Eppure compie il suo tentativo, e quello che ne risulta è una danza indecifrabile, una “coreografia morse” che traduce le parole scandite perentoriamente da Oz – un vocabolario essenziale di “Heart”, “Hand”, “Me”, “Girl”, “Spell”, “Love” – in un movimento che è, appunto, il correlativo di quelle parole nel linguaggio morse.

Dal foglio di sala apprendiamo che la storia raccontata così frammentariamente è quella del povero taglialegna del Mago di Oz, fatto a pezzi dalla sua stessa scure a causa di un incantesimo della Strega dell’Est, e ricostruito come Uomo di latta, senza più un cuore. Adesso la sua stessa storia viene fatta a pezzi da Oz e rimontata a suo piacimento, e l’Uomo di latta, come il performer, cerca di re-incarnare quelle parole, di riattraversare l’esperienza che gli è stata espropriata e poi vomitata fuori, a brandelli, da questo Oz che è anche e soprattutto un Grande Fratello di orwelliana memoria.

“Witch!”, esclama il Grande Fratello, e l’uomo procede a tentoni, con una mano sopra gli occhi a impedirgli di vedere. Poi prende qualcosa, forse un proiettore, e si siede di spalle dopo essersi tolto la canottiera. Sulla pelle bianca, adesso che il buio è completo, si materializza un’immagine, una donna orientale, forse cambogiana, forse vietnamita, che danza.
Il corpo dell’uomo incorpora la strega, la muove, ne è mosso, la danza e ne è danzato. E dal rumore emerge un canto, e poi elicotteri, rumori di guerra assordanti; l’uomo ripete la sua oscura danza, il suo glossario morse in movimento, incapace di un altro linguaggio, mentre le luci diventano intermittenti.

Dopo un climax il rumore cessa, la danza si produce in silenzio, i fari sul fondale si accendono gradualmente di luce dorata, e sulla scena si diffondono placidi suoni del mondo naturale: ronzii e canti di uccellini, che traghettano il protagonista verso il pubblico per un conclusivo: “Mi chiamo Koen, sono un performer, e questo è il mio racconto”.

Lorenzo Donati nella postfazione di “O/Z – Atlante di un viaggio teatrale”, volume pubblicato da Ubulibri nel 2010 su Fanny & Alexander, sostiene che negli spettacoli della compagnia ravennate “guardare non basta”, esortando quasi lo spettatore ad un surplus di impegno interpretativo/partecipativo.

Effettivamente, in fase di scrittura e quindi di “ripensamento”, lo spettacolo ritrova un senso e una compiutezza che a un primo sguardo, quello immediato in teatro, sfugge. Eppure torna anche alla mente lo spettacolo di Philippe Quesne visto a Short Theatre poco tempo fa, e presentato anche a Contemporanea: “L’effet de Serge”, in cui il protagonista, al termine dei piccoli spettacoli pirotecnici offerti in dono a improvvisati spettatori, ne minimizzava la portata metaforica, richiamando alla realtà il suo pubblico che, invece, tendeva a impegnarsi in spropositate attribuzioni di significato a quegli “effetti” tutto sommato semplici, quasi banali.

In quel caso qualche riverbero c’era; nell’atto stesso della performance avveniva un qualcosa che, immediatamente, ci toccava, ci riguardava, produceva un senso.
Qui invece la sensazione è che, nonostante un’architettura perfettamente bilanciata, una regia geometrica di effetti raffinati, che veicolano una bella idea all’interno di un progetto interessante, lo spettacolo sia una macchina perfetta come l’Uomo di latta, ma, proprio come lui, priva di un cuore. Spetta davvero a noi spettatori regalarglielo?

EAST

produzione: Fanny&Alexander e Centrale FIES in collaborazione con Les Brigittines, Bruxelles
ideazione: Chiara Lagani e Luigi de Angelis
musiche: Mirto Baliani
fotografie: Enrico Fedrigoli
drammaturgia: Chiara Lagani
costumi: Chiara Lagani e Sofia Vannini
coreografia morse: Luigi de Angelis e Koen De Preter
regia, spazio scenico, luci: Luigi de Angelis
con: Koen De Preter
e con: Chey Chankethya
voce di Oz: Marco Cavalcoli
durata: 50′
applausi del pubblico: 1’ 15’’

Visto a Prato, SpazioK, il 3 ottobre 2012
Festival Contemporanea 2012


 

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