Pina Bausch e la capacità di vedere. Marigia Maggipinto racconta 10 anni di Tanztheater

Maggipinto insieme ai ragazzi del laboratorio tenuto a Torino|Marigia Maggipinto|Marigia Maggipinto insieme a Pina Bausch
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Marigia Maggipinto
Marigia Maggipinto (photo: marigiamaggipinto.com)

Cinque giorni di lavoro per cercare di ritrovare in scena quel modo di sentire e di vedere del Tanztheater di Pina Bausch.
Ecco cosa è riuscita a fare Marigia Maggipinto con i partecipanti al workshop proposto a Torino da Stalker Teatro (in collaborazione con Institut De Danse Du Val D’aoste e Grimaco Movimenti Umani).

Cinque giorni non bastano certo per costruire uno spettacolo “finito”, ma sono stati sufficienti a trasmettere al pubblico quelle emozioni e quell’empatia tipiche del teatro danza della coreografa tedesca. E soprattutto quella capacità di estrarre da ciascun interprete il proprio “io” creativo, di dare al singolo la forza dell’insieme.

Dopo la restituzione al pubblico del laboratorio è seguita, nella sala delle Officine Caos, un incontro con la danzatrice, membro della compagnia della Bausch dal 1989 al 1999.

Marigia ha ripercorso il suo incontro e la sua esperienza di vita accanto a Pina Bausch utilizzando alcuni video di spettacoli.
Si inizia con “Die klage der kaiserin – il lamento dell’imperatrice”, l’unico lavoro cinematografico della Bausch, che risale al 1987. Marigia non faceva ancora parte nel Tanztheater, ma il suo racconto inizia da qui.

“Pina era molto preoccupata per i tempi stretti che le erano stati dati per la consegna. Si lavorava a casa sua per il montaggio. Ne parlò con me e io le dissi: “Pina non possono mica farti lavorare giorno e notte”, e a quella mia battuta vidi una luce nei suoi occhi, un’illuminazione. Il giorno seguente c’erano due gruppi di lavoro: uno per il giorno e uno per la notte”.

Basta questo aneddoto per spiegarci la forza, la passione, la tenacia ma soprattutto la dedizione al lavoro della Bausch. Per spiegarci che il suo non era un “metodo” ma un modo di vedere la vita.

In ognuno dei suoi allievi si ritroverà per sempre il segno, l’impronta lasciata da lei così come, spiega Marigia, tutti quelli che hanno lavorato con Pina si riconoscono tra di loro. Non come cloni, ma per il suo insegnamento: imparare a “vedere”. Imparare a vedere il mondo intorno per poi poterlo filtrare attraverso la propria personale creatività. Ecco perché, per Marigia, questa esperienza di coreografia a Torino è diventata possibilità di “svuotarsi” per captare altro.

Marigia Maggipinto insieme a Pina Bausch
Marigia insieme a Pina Bausch (photo: marigiamaggipinto.com)

Il secondo video è “Der fensterputzer (The Window Washer)”, lavoro presentato in coproduzione con il Festival di Hong Kong nel 1986.
Marigia si avvicina al mondo della Bausch proprio in quell’anno, quando a Roma va a vedere “Viktor” al Teatro Argentina: “Non danzavo da quasi un anno. Mi ero fatta male ad un piede. Mi avevano detto che avrei potuto ballare sui tacchi, e quando vidi Viktor pensai: that’s ok. Ero andata a salutarla all’uscita degli artisti e ci siamo guardate negli occhi. Scattò qualcosa, per entrambe. Chiesi quando ci sarebbe stata la prossima audizione e quindi partii con l’autostop per andare a Wuppertal. All’audizione eravamo più di mille, e lei era molto, molto selettiva. La prima parte dell’audizione consisteva nella prova classica alla sbarra. Io sentivo di aver sbagliato tutto ma ero felice. Felice di essere lì perché mi piaceva lei; felice di danzare. Presi la mia borsa e feci per andarmene, ma vennero a chiamarmi per fare anche la seconda parte di audizione. Mi sono così divertita a imparare sul momento pezzi di repertorio che poi danzavamo in gruppo!
Ma c’era un posto solo. Un posto per una danzatrice. Da 1000 a 400. Da 400 a 30. Da 30 a 4. Pina non riusciva a decidersi, così ci invitò tutte e quattro a restare, per studiare nella scuola di Essen fondata da Kurt Jooss. E ci sistemò tutte nelle case dei suoi danzatori”.

In quegli stessi anni c’è l’incontro di Marigia con Pippo Delbono (con cui nel 2011 lavorerà alla creazione dello spettacolo “Dopo la battaglia”). All’epoca Delbono lavorava, con Pepe Robledo, al “Tempo degli assassini”, ed era stato invitato dalla Bausch al Wuppertaler Tanztheater.

“Nel 1987 Pina stava lavorando su ‘Ahnen’ – riprende Marigia – Io ero impaurita, avevo 21 anni: ero rimasta sei mesi a Wuppertal, e dopo sei mesi Pina non aveva ancora deciso quale danzatrice scegliere. Così tornai a casa. Poi ricevetti una sua lettera, aveva deciso per Kyomi, ma voleva che tornassi a studiare a Essen. In questo modo avrei potuto comunque restare vicino a lei. E’ stato proprio grazie al metodo di Jean Cebron che ho finalmente trovato “il mio vestito”. La sua era una tecnica molto particolare. Ma era ormai passato un anno, ed iniziavo a non sapere come mantenermi. Ne parlai con Pina e lei mi ha disse: “Stai a casa mia, io ti do’ uno stipendio e tu lavori con Jean”.

Ma doveva passare ancora un anno e un altro ritorno a Roma prima che Pina si decidesse a chiamarla per entrare finalmente nella compagnia.
“Pina aveva la capacità di vedere attraverso le persone. Sapeva trovare le singole capacità e incoraggiarti.
A volte sembrava una saggia di 500 anni, a volta una bambina di cinque. Ciò che viveva era nel suo corpo”.

Maggipinto insieme ai ragazzi del laboratorio tenuto a Torino
Maggipinto insieme ai ragazzi del laboratorio tenuto a Torino (photo: Ewa Gleisner)

“In quegli anni Pina veniva in vacanza al mare da noi [Marigia è di Bari, ndr]. Non aveva mai usato una maschera da sub. Allora gli spiegai come si indossava, e che avrebbe potuto guardare i pesci.
Pina si mise la maschera. Non riuscimmo più, per tutto il giorno, a fargliela togliere. Rimase lì in acqua per ore a guardare i pesci. Dovetti pregarla per uscire”.
La capacità di guardare. Di fermarsi a guardare per potere vedere.

E alla domanda che le viene posta su quale messaggio voglia dare ai giovani, Marigia risponde: “Puntate su voi stessi. Buttatevi ed abbiate coraggio, per vivere le esperienze che partono dallo stomaco. Nutrite la vostra parte intuitiva”.
Un invito valido per tutti e che racchiude il senso della vita, non solo della danza.

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